Con il no di Meloni a von der Leyen si apre ora un periodo molto più difficile per la nostra economia, per il nostro benessere e forse per la tenuta dei nostri diritti
È la prima volta che il governo italiano vota contro la nuova Commissione europea. Questo avviene in un momento storico drammatico, in cui peraltro gli Usa tendono a concentrarsi sull’Asia (specie se vincerà Donald Trump), lasciando l’Europa più sola. Anche per questo è interesse vitale dell’Italia avere un’Unione europea molto più coesa, unita e ambiziosa, cui il nostro paese partecipi da protagonista.
Giorgia Meloni ha imboccato la strada opposta. Del resto la destra nazionalista questo è, per definizione. Si apre ora un periodo molto più difficile per la nostra economia, per il nostro benessere e forse per la tenuta dei nostri diritti. Per il governo, una fase nuova rispetto a quanto visto finora.
I nodi
Il primo problema sarà l’applicazione del nuovo patto di stabilità, su cui avremo d’ora in poi un’interlocuzione molto meno favorevole. Dovremo accettare di procedere a tagli consistenti, o a forti aumenti di tasse; a meno che Meloni non decida di accentuare ulteriormente la sua sfida all’Europa. E in questo secondo caso, per niente escluso viso quel che è successo finora, forse le conseguenze sarebbero ancora peggiori.
Le prospettive dei tassi di interesse non sono così buone come si sperava: nell’immediato, diminuiranno meno del previsto; e in prospettiva i tassi sono destinati ad aumentare, e di molto, se l’Europa vorrà tener fede ai programmi di investimento nella difesa, nell’ambiente, nella ricerca, nelle politiche industriali annunciati da von der Leyen. Per dare un’idea dell’ordine di grandezza, sul Corriere della Sera Giavazzi cifrava il fabbisogno in mille miliardi l’anno (due volte il Pnrr, e per ogni singolo anno), da ottenere attirando risparmi e investimenti dal resto del mondo e con l’emissione di debito comune.
Questo vuol dire non solo che i tassi nell’eurozona dovranno crescere; ma che il nuovo debito europeo spiazzerà quello italiano, tanto più di un’Italia ostile e su posizioni estremiste: lo spread si impennerà e noi rischieremo la bancarotta finanziaria. La marginalizzazione dell’Italia in Europa, subita e voluta da Meloni, avrà quindi conseguenze drammatiche sulla nostra economia, e anche sulla tenuta sociale e democratica: al più tardi nel prossimo anno, forse già quest’autunno.
Ma non è solo quello che rischiamo. È anche quello che stiamo perdendo, adesso. In Europa si è aperta la partita decisiva per il nostro futuro: per la riforma dei trattati, così da superare l’unanimità e dare finalmente alla Ue un assetto più efficiente; per affiancare alla conversione energetica un piano massiccio di investimenti per la tenuta sociale e nelle politiche industriali.
Le conseguenze sono potenzialmente enormi per l’Italia: si pensi alla possibilità di rendere permanente il Pnrr e di farlo su dimensioni ancora maggiori, cioè a una lunga stagione di interventi strutturali per migliorare i nostri fondamentali, dalla sanità, alla ricerca, all’istruzione, alle infrastrutture, al welfare, alla crescita e innovazione delle imprese, o per sviluppare settori con eccellenti potenzialità, specie da noi, dalla riqualificazione delle abitazioni alla conversione energetica.
Una scelta miope
Su tutto questo c’era e c’è bisogno di un’Italia che spinga ancora di più la Commissione, nel merito, in una direzione esattamente contraria a quella indicata dalla premier. E in una direzione diversa anche da quella seguita in questi anni dai vertici europei: ma perché richiede più Europa e più spesa comune, più unità e cooperazione.
Meloni, invece, con discorsi ideologici che in realtà rilevano come la visione miope e nociva per l’interesse nazionale sia proprio la sua (non certo quella del Green Deal), ci ha messo ai margini di questa grande partita. Si pensi che noi adesso rischiamo di mandare in fumo anche una parte dell’attuale Pnrr, dato che sarà molto più difficile ottenere una proroga delle scadenze.
L’Italia perde così una enorme opportunità, benché non scontata, per far fare un salto di qualità al nostro modello di sviluppo. E si avvicina pericolosamente al baratro del collasso finanziario, economico e sociale.
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