Meloni ha messo il suo partito all’opposizione all’ultimo minuto. Il commissario resta un’incognita e non sarà tra quelli importanti, Fratelli d’Italia è stata risucchiata dalla destra sovranista dei Patrioti
La notte delle elezioni europee Giorgia Meloni appariva come il capo di governo più forte d’Europa soprattutto rispetto a Olaf Scholz ed Emmanuel Macron usciti molto azzoppati dal voto. Meloni si presentava con un governo stabile, consensi relativi in crescita, benvoluta dalla presidente della Commissione europea, con un partito proteso alla collaborazione con il partito popolare europeo nella logica della costruzione di una destra di governo, con ottime probabilità di ottenere un commissario di peso.
Oggi, dopo il Consiglio europeo e la votazione su Ursula von der Leyen, Meloni ha messo il suo partito all’opposizione all’ultimo minuto, il commissario resta un’incognita e non sarà tra quelli importanti, Fratelli d’Italia è risucchiata dalla destra sovranista dei Patrioti. Mentre Scholz e Macron hanno arroccato, protetto la maggioranza, tenuto fuori tutta la destra europea e soprattutto il suo volto di maggior successo, cioè Giorgia Meloni. Escono sconfitti dalle urne ma vincitori nei giochi di potere, Meloni l’esatto opposto. Dall’intervista di sabato con il Corriere della Sera della presidente del Consiglio emergono due problemi.
Gli errori
Il primo è che sul piano politico il no a von der Leyen poteva anche avere una logica, ma non nel modo in cui ci è arrivata Meloni. L’idea dell’opposizione per incompatibilità di programma e di metodo sarebbe potuta emergere dopo il consiglio europeo di fine giugno. La carta della coerenza sarebbe stata più forte e Fratelli d’Italia non sarebbe apparso in affanno come è stato nel parlamento europeo, senza dichiarazione di voto e incertezza fino all’ultimo su come votare, oltre che incalzato dai Patrioti i quali hanno dimostrato di poterla influenzare.
Dal no a von der Leyen ci ha guadagnato molto più Salvini, che ha piegato la linea di Fratelli d’Italia verso la Lega, che Meloni. Il secondo problema è che, nel metodo e nella sostanza, è riemerso un grave problema di cultura di governo nella destra. Per oltre un anno Meloni ha investito su un buon rapporto con l’Unione europea, si è accreditata, è stata accettata, si è fatta portatrice di iniziative accolte da tutti come quella sull’immigrazione, ha tenuto contatti costanti con i popolari in ottica di programma e di alleanze.
L’operazione politica sembrava chiara e diretta a fare del più grande partito italiano una forza di governo dell’Unione europea. Invece, alla fine, hanno prevalso i calcoli da capo partito, le paure verso la concorrenza a destra e il timore di perdere lo zoccolo duro dell’elettorato. Col risultato che il lavoro di un anno e mezzo è stato vanificato.
Il partito della premier giustifica la giravolta in opposizione all’apertura ai Verdi e al Green Deal, ma bisognerebbe chiedersi se mettersi all’opposizione e contro von der Leyen aiuterà a fermare l’ambientalismo ideologico di più o di meno rispetto al dare sostegno alla nuova Commissione. Perché il Green Deal sarà proseguito per ricompensare il sì dei Verdi, mentre la destra italiana non potrà che subire le decisioni altrui senza mettere bocca. Quando invece si sarebbe potuta votare von der Leyen, prendere un commissario con portafoglio e poi valutare cosa fare di provvedimento in provvedimento.
Le conseguenze
Con un gruppo dirigente viziato da questi ragionamenti alla fine Fratelli d’Italia è l’unico grande partito di governo di un paese fondatore a mettersi fuori da tutto, sia sul voto alla presidente che sull’ingresso in maggioranza.
Questo disastro senza logica politica significa che l’Italia avrà più difficoltà a relazionarsi con la Commissione, perché von der Leyen dovrebbe tendere una mano a Meloni che l’ha bocciata in parlamento se l’Italia dovesse trovarsi in difficoltà sul piano finanziario, sull’esecuzione del Pnrr o sulla gestione dell’immigrazione? Meloni dimostra ancora una volta i limiti della destra italiana, tutta votata al mantenimento delle posizioni politiche ori
ginarie, incapace di rompere con l’euroscetticismo e il sovranismo fino in fondo, priva nei fatti di una cultura di governo e di culto della ragione di stato.
Nelle sue stesse condizioni, cioè al governo e all’apice del consenso elettorale, i gollisti francesi, la Cdu tedesca o il Pp spagnolo avrebbero gestito così la partita europea? La risposta è no, perché questi sono partiti che hanno dimestichezza col potere mentre Fratelli d’Italia è un ibrido rimasto a metà del guado.
Sono errori che il governo Meloni pagherà perché le difficoltà, interne o esterne, arriveranno e avere un rapporto freddo con la Commissione e i capi di governo degli altri principali paesi europei non aiuterà. E alla fine anche l’elettorato di destra per gran parte capirà che chiamarsi fuori da tutto, emarginarsi in nome dei valori e della coerenza, è controproducente. Quella di Fratelli d’Italia è solo politica, ma non arte del governo. E non basta per difendere l’Italia.
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