A prescindere da quello che farà da ministro, la sola presenza di Crosetto alla guida del dicastero da cui dipendono in gran parte le sorti dei suoi ex e probabilmente futuri datori di lavoro e colleghi indica che in Italia tutto è lecito.
Il ritorno di Silvio Berlusconi in Senato sancisce il trionfo del conflitto di interessi come cifra della politica italiana. La proposta di legge arrivata a buon punto la scorsa legislatura sarà abbandonata, i rapporti tra governo e affari sono regolati essenzialmente da una legge scritta su misura delle esigenze di Berlusconi, nel 2004, la cosiddetta legge Frattini.
Vista la matrice berlusconiana, quella legge disciplina le porte girevoli tra business e incarichi di governo in un lato soltanto, cioè in uscita. Altrimenti avrebbe dovuto chiudere le porte di palazzo Chigi a Silvio Berlusconi.
Chi ha avuto incarichi di governo non può, per un anno, avere ruoli in società “che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta”.
Il caso di Guido Crosetto rende evidente l’inadeguatezza di una disciplina dei conflitti di interesse scritta dal politico col maggiore conflitto di interessi di sempre. Crosetto è stato sottosegretario alla Difesa, poi è diventato un lobbista del settore armi, con incarichi e redditi significativi ricostruiti da Domani negli articoli di Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian.
Le consulenze a Crosetto remuneravano, come tipico di tutti gli ex politici, il suo capitale di relazioni e connessioni. Il problema è che ora Crosetto è tornato al governo: sulla base del decreto legislativo 39 del 2013, Crosetto non potrebbe fare il capo di gabinetto della Difesa o il funzionario del ministero della Difesa, perché ha ricoperto nei due anni precedenti incarichi in enti finanziati dal all’amministrazione per cui lavora. Ma poiché la legge sui politici l’ha fatta Berlusconi, per i politici il limite non si applica.
E Crosetto, dopo dodici mesi di attesa, una volta terminata la sua attività da ministro potrà tornare nel settore armi dal quale derivava, ci ha fatto sapere lui e confermano i documenti, il 90 per cento del suo reddito recente.
Il conflitto di interessi non presuppone comportamenti scorretti, è una situazione oggettiva che fa venire meno i presupposti perché una decisione sia presa al riparo da potenziali condizionamenti.
Qualunque scelta dei governi Berlusconi sulla Rai era di per sé sospetta perché Berlusconi controllava Mediaset, a prescindere che fosse nell’interesse o meno della tv pubblica.
A prescindere da quello che farà da ministro, la sola presenza di Crosetto alla guida del dicastero da cui dipendono in gran parte le sorti dei suoi ex e probabilmente futuri datori di lavoro e colleghi indica che in Italia tutto è lecito.
Non lamentiamoci poi se da un contesto così vischioso gli investitori internazionali stanno volentieri alla larga.
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