- Una volta il centrosinistra aveva anche degli strumenti di gestione interna di queste vicende, le tanto bistrattate primarie.
- Se il Pd e Azione-Italia viva hanno candidati diversi ma vogliono stare in coalizione, si fanno le primarie e poi i partiti sostengono il vincitore.
- Chi vince darà sicuramente poi poltrone e posti anche allo sconfitto e al suo gruppo di riferimento.
Il caso Moratti in Lombardia sta diventando lo specchio della crisi identitaria irrisolvibile del centrosinistra. Basta vedere i commenti di Carlo Cottarelli a La7 per capire la portata dello psicodramma: «Il Pd ha detto di no a Moratti. È chiaro anche perché ha detto di no: negli ultimi due anni il Pd e anche Azione hanno criticato» con forza «quello che ha fatto Moratti da assessore in Lombardia. Azione sembrerebbe aver cambiato idea, il Pd trova difficile cambiare posizione dopo anni di critiche».
Ora, decodificare questo commento genera il mal di testa. Il Pd dice no alla candidatura di Letizia Moratti alla guida della Lombardia perché, fino a pochi giorni fa, stava con il centrodestra. Meglio puntare su candidati identitari, che marchino la differenza.
E si fa il nome proprio di Carlo Cottarelli, che però non è del Pd, è stato eletto al proporzionale nella coalizione di cui faceva parte il Pd un po’ per sbaglio. Nel senso che fino a poche settimane prima del voto stava in una altro partito, Azione, che poi è andato da solo con Italia Viva.
Ora Cottarelli commenta l’ipotesi Moratti ma accusa di incoerenza proprio Azione, che si opponeva alla Moratti assessore e vicepresidente della giunta Fontana, mentre ora la appoggia contro la Lega e Fratelli d’Italia e, se necessario, contro il candidato del Pd (che sarebbe poi Cottarelli, forse).
Cottarelli, però, era in piazza sabato alla manifestazione per l’Ucraina promossa da Azione, a Milano, alla quale ha partecipato anche Letizia Moratti. Quella piazza chiedeva pieno sostegno all’Ucraina, nella convinzione che la via per la pace passi per il sostegno all’aggredito e non per l’equidistanza con l’aggressore.
Il Pd, che si oppone a Letizia Moratti ma non a Cottarelli, sosteneva questa stessa posizione finché era al governo, con Mario Draghi premier. Ma ora che è all’opposizione si è allineato ai Cinque stelle di Giuseppe Conte, che infatti stavano in un’altra piazza pacifista e anti-militarista a Roma.
Fino a quattro mesi fa, peraltro, il Pd diceva che l’atteggiamento in politica internazionale era il discrimine per ogni alleanza, per questo ha accolto nelle sue liste il partitino fantasma di Luigi Di Maio, che ha spaccato i Cinque stelle che contestavano l’invio di armi all’Ucraina (pur votandolo).
Dunque, se oggi il Pd vuole essere coerente con sé stesso, deve stare con Moratti, con Cottarelli, con Conte o con nessuno di questi? Inutile cercare la risposta negli indecifrabili scritti o interviste dei suoi dirigenti, parlano un linguaggio che ormai ha soltanto una lontana parentela con quello usato dai loro elettori superstiti.
Soprattutto, il Pd, nella persona di Enrico Letta ma non solo, non ha mai escluso le alleanze con il Terzo polo e neppure con i Cinque stelle. Anzi, la lezione del voto del 25 settembre è che soltanto una coalizione che li includa entrambi è competitiva.
Sul territorio, questo significa inevitabilmente arrivare a dei compromessi sulle candidature, talvolta a destra e talvolta a sinistra.
Una volta il centrosinistra aveva anche degli strumenti di gestione interna di queste vicende, le tanto bistrattate primarie: se il Pd e Azione-Italia viva hanno candidati diversi ma vogliono stare in coalizione, si fanno le primarie e poi i partiti sostengono il vincitore che darà sicuramente poi poltrone e posti anche allo sconfitto e al suo gruppo di riferimento.
Visto che i leader hanno le idee un po’ confuse e sono vittime dei propri continui cambi di posizione, forse è meglio lasciare la parola agli elettori. Anche in Lombardia.
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