- Il presidente della Repubblica, definendo l’esecutivo di Draghi un governo tecnico senza formula politica lo aveva implicitamente privato dell’indirizzo politico.
- Nell’indicare i due obiettivi fondamentali a cui doveva attenersi – vaccinazioni anti-Covid e progetti del Pnrr – lo aveva instradato lungo binari ben definiti e delimitati.
- Solo la guerra ha impedito che arrivasse prima a un redde rationem.
Le dimissioni di Mario Draghi vengono da lontano. Hanno trovato un catalizzatore nell’ultima settimana ma erano insite nella conclusione vicenda delle elezioni presidenziali, a sua volta connessa con la nascita stessa di quel governo.
Il presidente della Repubblica, definendo l’esecutivo di Draghi un governo tecnico senza formula politica lo aveva implicitamente privato dell’indirizzo politico.
Nell’indicare i due obiettivi fondamentali a cui doveva attenersi – vaccinazioni anti-Covid e progetti del Pnrr – lo aveva instradato lungo binari ben definiti e delimitati.
Tant’è che a fine anno lo stesso Draghi aveva parlato di missione conclusa. Per cui, secondo i molti auspici e gli altrettanti timori, Il presidente del Consiglio poteva essere destinato ad altro. Ovviamente al Quirinale.
Lo sbarramento più o meno esplicito dei partiti, Lega e M5s in prima fila, ha congelato la situazione. Ancora Mattarella al Quirinale e ancora Draghi a Palazzo Chigi.
Il presidente del Cconsiglio non poteva che fare buon viso a cattivo gioco ma il feeling con le forze politiche si era rotto.
Solo la guerra ha impedito che arrivasse prima a un redde rationem.
L’asprezza al limite del dileggio con cui ha risposto alle richieste dei forzaleghisti e dei pentastellati in Senato non esprimeva uno scatto d’ira, per quanto fredda.
Rendeva palese l’insofferenza di chi, dovendo proseguire nella legislatura, trovava intralci sul suo progetto di razionalizzazione e modernizzazione del paese. Ma il contrasto era inevitabile.
Da lato si ergeva una sorta di razionalità tecnica nell’illusione che fosse neutra e quindi condivisibile da tutti, e dall’altro premeva la logica della rappresentanza politica democratica che esprime, e cerca di far prevalere, visioni diverse, e intrinsecamente conflittuali.
Draghi, una volta “liberato” dalla missione per cui era stato chiamato, ha incrementato la latitudine degli interventi del governo pur cercando di rimanere lungo una stretta via super partes.
Una missione impossibile, questa, con un arco così vario di forze politiche. Mediare tra interessi divergenti necessita un training da politico professionista non da tecnocrate, seppure di altissimo livello.
Le tensioni sono aumentate con il passare del tempo e per Draghi la misura era colma da tempo.
Il suo scarto di fronte all’uscita dall’aula del M5s sulla norma a favore dell’inceneritore di Roma inserito nel decreto aiuti – un tema tutt’altro che dirimente per il futuro del paese – intendeva certificare la fine di questa esperienza. E l’altro giorno l’aut aut posto ai senatori ha chiuso ogni residua ipotesi di prosecuzione della legislatura.
Un governo senza formula politica non poteva che essere a tempo. Il suo era scaduto alla fine dello scorso anno.
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