- L’Ue non è un attore militare, al contrario è fiera di poter prevenire i conflitti creando un ambiente economico e giuridico favorevole alla pace.
- Ha anche un record incredibile di ricostruzioni post belliche, come testimoniano i Balcani. Eppure l’Ue non è stata in grado di impedire l’invasione russa e un’Ucraina sconfitta sarà ricostruita dalla Russia.
- Il problema è che questa guerra, come quelle nell’ex Jugoslavia, hanno sollevato domande esistenziali che i politici europei pragmatici, o se vogliamo, miopi, preferirebbero evitare.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è andato in visita a Bruxelles il 9 febbraio, a ridosso del primo anniversario dell’invasione russa su larga scala del suo paese. È stato accolto calorosamente dai più alti ufficiali dell’Unione europea, che hanno confermato che l’Ucraina appartiene all’Europa.
Non è stato tuttavia un caso che Zelensky sia andato prima a Washington e a Londra. L’aiuto complessivo dell’Ue all’Ucraina è pari a quello degli Stati Uniti, questi ultimi hanno fornito molte più armi, e le armi sono ciò di cui l’Ucraina ha più bisogno oggi.
L’Ue non è un attore militare, al contrario è fiera di poter prevenire i conflitti creando un ambiente economico e giuridico favorevole alla pace. Ha anche un record incredibile di ricostruzioni post belliche, come testimoniano i Balcani. Eppure l’Ue non è stata in grado di impedire l’invasione russa e un’Ucraina sconfitta sarà ricostruita dalla Russia. Non stupisce che Zelensky abbia esortato l’Ue ad agire con più rapidità e audacia.
Domande esistenziali
Questa guerra non è soltanto ai confini dell’Ue, pesando sulle bollette energetiche dei cittadini europei: l’aggressione della Russia è una risposta alla mossa ucraina di avvicinamento all’Europa. Non dimentichiamo che la prima invasione russa, nel 2014, è stata provocata dalla fuga dell’allora presidente filorusso dell’Ucraina, Viktor Yanukovych, in seguito delle proteste di massa scatenate dal suo rifiuto dell’ultimo minuto, per ordine di Mosca, di firmare l’EU-Ukraine Association Agreement.
L’Ue inevitabilmente è coinvolta in questa guerra e non si può nascondere dietro lo zio Sam. Come hanno detto Heidi Mauer ed altri colleghi, l’Europa è vincolata da una “responsabilità collettiva ad agire” di fronte all’aggressione russa. Ma è all’altezza della situazione?
Wolfgang Streeck non è il solo intellettuale europeo ad offrire una risposta negativa: «Quando la realpolitik ha sollevato la sua brutta faccia, l’Ue si è trasformata in un’organizzazione ausiliaria della Nato, incaricata tra le altre cose di ideare sanzioni contro la Russia che per lo più le si sono ritorte contro». Imporre sanzioni era il minimo che l’Ue potesse fare in risposta a un’invasione illegale e brutale, ma le sanzioni da sole non possono determinare il corso di questi eventi sul confine orientale dell’Ue.
Il problema è che questa guerra, come quelle nell’ex Jugoslavia, hanno sollevato domande esistenziali che i politici europei pragmatici, o se vogliamo, miopi, preferirebbero evitare. Dove sono i confini dell’Europa? Gli Stati Uniti sono una potenza sui generis in Europa? Può una potenza civile come l’Ue sopravvivere in un ambiente politico incivile? Gli interessi economici dell’Europa dovrebbero prevalere sulle norme giuridiche e morali? Chi guida l’Europa quando scoppiano le guerre?
Fino a quando mancheranno risposte convincenti a queste domande fondamentali, l’Ue rimarrà debole nel momento in cui le bombe cominciano ad esplodere.
Fatti sul campo
I confini dell’Ue sono mutati in continuazione per tutta la sua storia. Ai sei membri delle Comunità europee in origine si sono gradualmente aggiunti ventidue stati, dopo aver adottato un ampio corpo di leggi e regolamentazioni europee. (Ora uno se n’è andato.)
L’Ucraina è lungi dal soddisfare queste condizioni legali ma, come ha scritto su Twitter il presidente della Commissione europea, “gli ucraini sono pronti a morire per la prospettiva europea. Vogliamo che vivano con noi il sogno europeo”.
Questo sogno non equivale ancora all’adesione all’Ue, ma milioni di rifugiati ucraini entro i confini dell’Ue equivalgono automaticamente a una sorta di allargamento. Anche il contributo dell’Ue alla ricostruzione postbellica dell’Ucraina renderebbe il paese parte dell’Ue, anche se per qualche tempo de facto più che de jure. L’Ue è pronta a riconoscere i fatti sul campo e accogliere l’Ucraina da un punto di vista esclusivamente strategico?
La guerra in Ucraina ha confermato che gli Stati Uniti hanno effettivamente un posto (virtuale) al tavolo decisionale dell’Ue. Questo non piace a tutti, eppure senza di loro l’Europa non sarà soltanto più sdentata in termini militari, ma anche più divisa politicamente.
L’impegno dell’America nei confronti dell’Europa non può essere dato per scontato. Donald Trump, se tornasse presidente, e Xi Jinping, presidente a vita in Cina, potrebbero spingere gli Stati Uniti a cambiare le proprie priorità strategiche - nel caso di Xi forse con la decisione di invadere Taiwan - lasciando l’Ue senza un leader capace e disposto difendere il vecchio continente.
Una leadership informale
La guerra ha confermato che la Germania non è all’altezza del compito: è divisa internamente e contestata da fuori. E attualmente ci sono troppi “sovranisti” al tavolo decisionale dell’Ue per consentire un significativo trasferimento di potere a Bruxelles.
Eppure, nei primi mesi della guerra Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea diventato poi primo ministro d’Italia, ha dimostrato che guidare in modo informale l’apparentemente indisciplinato club europeo era possibile. Leadership non è solo questione di carisma personale ma anche, se non principalmente, è la capacità di formulare una posizione politica comune che rifletta i valori europei. Come colmare il divario tra gli europei che guardano agli ucraini come gli eroici guardiani della sicurezza europea e quelli che invece vedono solo dei fanatici nazionalisti che sfidano le legittime preoccupazioni di sicurezza della Russia?
Sarebbe altrettanto difficile conciliare gli interessi economici con le posizioni giuridiche e morali. Dopo l’annessione illegale della Crimea da parte della Russia nel 2014, l’Ue non ha ridotto i suoi commerci con Mosca e le politiche volte a ridurre la dipendenza dell’Europa dal petrolio e dal gas russi sono state perseguite a malincuore fino allo scorso anno. Anche ora l’Ue spende di più per importazioni dalla Russia che per gli aiuti all’Ucraina.
Non mi schiero con chi incolpa i legami commerciali tedeschi con la Russia per l’attuale difficile situazione. Ma “la normalità” con chi commette crimini internazionali non è solo immorale. A lungo andare è una mossa suicida.
Un esercito europeo?
La guerra in Ucraina offre uno slancio per la creazione di un esercito europeo? Dopo le guerre di successione jugoslava l’Ue ha deciso di creare una forza di reazione rapida di sessantamila soldati, ma poi la cosa non si è mai concretizzata. Dall’uscita del Regno Unito la prospettiva di un esercito europeo significativo è parsa ancora più tenue. Sebbene dopo l’invasione russa dell’Ucraina diversi stati membri, in particolare Germania e Polonia, abbiano deciso di aumentare i loro budget per la difesa, è tutt’altro che certo che raggiungeranno presto le capacità militari britanniche.
L’Ue potrebbe però fare molto di più per rilanciare l’approvvigionamento congiunto, se non la produzione congiunta, di armi. Potrebbe ottenerlo ampliando i compiti e il bilancio dell’Agenzia europea per la difesa. Potrebbe anche aumentare in modo significativo il bilancio del Fondo europeo per la pace, che paga le armi inviate in Ucraina dagli stati membri e potrebbe eventualmente sostenere future missioni militari per promuovere la pace.
Quelli che si lamentano dell’egemonia americana in Europa dovrebbero offrire alternative credibili per respingere le minacce militari. Senza impegni tangibili per la sicurezza, l’Ue non sarà presa sul serio dalla Russia o dall’America, e nemmeno dall’Iran, dalla Siria e dalla Turchia.
L’Ue non sarà mai un attore militare tradizionale, ma la sicurezza dell’Europa non riguarda solo il numero di soldati sotto la bandiera europea. Riguarda anche le infrastrutture di sicurezza, inclusi i dipartimenti di intelligence, di logistica, le comunicazioni e l’energia, una serie di aree in cui le politiche europee comuni possono essere rafforzate. Più di tutti, la sicurezza richiede una direzione e una leadership che risponda alla volontà collettiva dell’Europa.
L’ora dell'Europa
«Questa è l’ora dell’Europa», ha proclamato Jacques Poos, uno dei tre ministri degli Esteri della Comunità Europea che sono volati in Jugoslavia subito dopo l’inizio della guerra nel 1991. Purtroppo, al tempo, alle ambiziose aspirazioni europee non sono seguite azioni adeguate.
La storia è plasmata da eventi drastici come le guerre. Ed è legittimo affermare che questa, ancora una volta, è “l’ora dell'Europa”. Ma gli orrori di Sarajevo e Mariupol, Srebrenica e Bucha ci hanno insegnato che le sole parole rassicuranti non bastano. Le scelte coraggiose dovrebbero essere fatte rapidamente ed essere seguite da azioni tangibili, altrimenti l’Ue vacillerà.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Social Europe e IPS-Journal
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