«Non sapendo quando l’alba verrà, spalanco tutte le porte». Elly Schlein ha utilizzato ieri all’assemblea del Pd un verso di Emily Dickinson per sintetizzare il suo lavoro di segretaria. Un anno fa, di questi tempi, osservatori e avversari preparavano per Schlein un funerale di prima classe, prevedevano un risultato modesto alle elezioni europee, un filotto della destra alle elezioni regionali, un partito diviso e una leadership incapace. Alla fine del 2024 il partito si presenta invece in buona salute elettorale e con qualche vittoria all’attivo L’alba dell’alternativa resta in apparenza lontana.

A meno di due chilometri dall’Antonianum, al Circo Massimo, sul palco della festa di Atreju dove oggi parlerà Giorgia Meloni, si sono alternati come comprimari ministri, direttori di giornale, boiardi di Stato, esponenti dell’intelligence, capi di Stato e di governo esteri, la nuova razza padrona assurta al cielo. Visto dall’alto, il villaggio di Atreju appare come il tempio craxiano di Rimini o la stazione Leopolda di Renzi, il formicaio del potere che si presenta e si percepisce come eterno. Eppure, come nei casi precedenti, dietro il monolite si nasconde una possibile crepa. La più insidiosa è quella che separa da sempre i governanti dalla realtà. Schlein lo ha chiamato «il favoloso mondo di Ameloni»: il racconto fatato con cui si finisce sulle copertine della stampa internazionali e poi si perdono le elezioni.

Per questo la parola che la segretaria del Pd ha voluto per la tessera del Pd 2025 indica il segreto del suo successo e la prossima partita: unità. L’unità del Pd nell’anno che si chiude è il risultato più sorprendente. L’unità è quello che manca all’ipotetica coalizione, dove ognuno continua a fare «gli affari suoi»: la divisione dell’opposizione è il principale alleato di Meloni.

L’unità, infine, è il terreno scelto da Schlein per sfidare la destra. Non c’è solo l’autonomia differenziata e il possibile referendum. La destra vince e prospera nelle divisioni, non solo in Italia. La polarizzazione, la radicalizzazione dello scontro, l’esasperazione di ogni frattura è stata la benzina nel motore di Trump. Anche Meloni è arrivata al governo soffiando sul fuoco delle divisioni. Si presenta come la donna che incarna la Nazione, una nazione che trasforma in dissidenti i contrappesi democratici del potere, come i magistrati e i giornalisti, denunciati come quelli di Domani perché fanno il loro lavoro, cercare e pubblicare notizie riservate e sgradite, e che spezza i movimenti sociali, come accade nel caso del ddl Sicurezza, ieri contestato da una piazza affollata.

All’assemblea del Pd ieri c’era il moltiplicarsi del tricolore: nella sala, sulla tessera del nuovo anno, naturalmente nel simbolo. È il progetto di trasformare il Pd nel partito che tiene unito il paese contro la destra che divide. Schlein ha utilizzato una raffinata citazione di Aldo Moro sull’Italia paese «dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili», una delle definizioni più acute e più drammatiche dell’Italia, dello spirito di fazione e della debolezza dello Stato. Moro ne parlò nel suo ultimo discorso da uomo libero, davanti ai gruppi parlamentari democristiani, il 28 febbraio 1978, sedici giorni dopo venne rapito. La consapevolezza che in una democrazia complessa non si governa con la forza del comando, ma con l’abilità di non spezzare la trama che ci tiene a fatica uniti.

Una citazione non banale, scelta da Elly Schlein per rivolgersi al paese dalle «strutture solidi e dalle passioni civili scolpite», come quelle che animano un pezzo di società, spesso non rappresentato da nessuno e non raccontato dai media. Ma anche la rivendicazione delle radici migliori, quando la segretaria ha nominato, mai con tanta enfasi e precisione, l’Ulivo di Prodi e il Pd fondato da Veltroni. L’eredità dei due progetti più ambiziosi di questi trent’anni, fondati sull’incontro di culture politiche, di popoli, di generazioni, non sulla loro separazione. Con un messaggio per chi sta in questi giorni elaborando nuovi centri, leader in provetta, partiti in laboratorio. Non servono federatori.

Prodi stesso, in Vaticano ieri per il simposio della fondazione Fratelli Tutti, ha rappresentato l’impasto della coalizione, non la singola gamba, meno che mai quella centrista. Schlein non delega a nessuno la cultura di governo, non consegna ad altri il rapporto con il centro della società, la rappresentanza di famiglie, imprese, lavoratori, insegnanti, singoli cittadini, che non va confuso con il centro politico, una creatura che appassiona gli alchimisti di palazzo. Per l’anno che verrà, un progetto di governo si sta già preparando, è questa la novità.

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