Barnier in Francia è come in Italia il modello Tajani: centrodestra europeista e democratico. Ora il premier dovrà trattare con i lepenisti e riuscire a navigare per almeno 10 mesi
Michel Barnier: tutti lo conoscono in Francia come a Bruxelles ma nessuno pensava a lui, come spesso gli è accaduto. Ministro sotto Chirac e Sarkozy, centrista e soprattutto commissario Ue e negoziatore della Brexit: il curriculum del nuovo premier è vasto. Emmanuel Macron ha fatto una scelta sorprendente per la sua sofisticatezza.
Capacità di dialogo
Barnier non è scomunicato da Marine Le Pen (come l’inviso Xavier Bertrand), né dai socialisti massimalisti di Olivier Faure (che invece aveva messo il veto su Bernard Cazeneuve); di destra ma centrista; cattolico e molto europeista, compatibile con le sinistre e non ostracizzato a prescindere dalla France Insoumise di Mélenchon, abbastanza ecologista perché proveniente da una regione alpina (Savoia): Barnier è molte cose allo stesso tempo.
Il suo vantaggio più grande è di essere stato troppo tempo a Bruxelles per avere contenziosi aperti con i vari leader e leaderini in patria. È troppo vecchio (73 anni) per impensierire i (numerosi) pretendenti alla presidenza del 2027 e troppo moderato per mettersi contro l’attuale inquilino dell’Eliseo.
Insomma: chi meglio di lui per affrontare i marosi di un’Assemblea nazionale divisa in tre terzi, senza rischiare di avere contro due parti su tre? I britannici ancora si leccano le ferite per i lunghi mesi di negoziati della Brexit che Barnier condusse con mano di ferro, pur senza dimettere la sua naturale cortesia e non alzando mai la voce.
Lo avevano preso sottogamba senza considerare la sua resilienza a tutta prova: lungo tutta la trattativa non ci fu mai un momento in cui i 27 si divisero. Forse volevano tutti l’allontanamento degli inglesi che bloccavano ogni decisione, ma non si era mai vista una tale unità in Europa, né si è vista in seguito.
Il ruolo dei lepenisti
Non avrà un compito facile: i lepenisti hanno posto come condizione principale una legge elettorale proporzionale: il doppio turno permette i famosi “barrages” (sbarramenti) che l’estrema destra aborre. Se il neo premier riuscirà a ottenere la non ostilità del Rassemblement national (Rn), c’è da scommettere che le sinistre (in particolare gli Insoumis) scateneranno le piazze, mossa che in Francia ancora funziona.
Ma Macron gli affida (sommessamente) il compito di durare solo 10 mesi: poi si potrà tornare alle urne e chi vivrà vedrà.
Tutti dicono che Barnier è un’ottima persona e nessuno ha critiche particolari da fare. È noto che sia un uomo di destra ma in Francia questo significa essere capace di fare dei compromessi. Nella sua storia la sinistra d’oltralpe spesso si è arroccata su posizioni ideologiche e governò solo con François Mitterrand che aveva anche lui un background di centrodestra.
Molto dipenderà dalla scelta dei ministri: il dosaggio sarà essenziale. Non ci si deve aspettare gente di partito ma certamente di area, a meno che non siano solo tecnici.
Governo di servizio
Nominandolo, Macron ha dichiarato che vuole un governo di “servizio”. Dovrà ottenere la desistenza del parlamento: potrebbe essere un voto di fiducia con una larga maggioranza di astensioni. Con la scelta di Barnier Macron termina il suo secondo mandato con uno spostamento verso destra ma sceglie per una destra ragionevole, affezionata al sistema della Quinta Repubblica, esperta in accordi e assolutamente europeista.
Per semplificare: in terminologia francese si potrebbe dire il ritorno dei chiracchiani, capaci di collaborare con tutti. In gergo politico italiano si direbbe: il modello Tajani. La sinistra ha giocato male le sue carte: ha preteso il governo senza avere una maggioranza, mettendosi contro i macronisti invece di negoziare con loro.
Ha posto subito troppi paletti e al presidente non è rimasto che guardare dall’altra parte. Non è detto che la mossa riesca, e vedremo quanto il nuovo governo potrà durare, ma in ogni caso la manovra di Macron ancora una volta ha spiazzato tutti.
© Riproduzione riservata