Il Documento Programmatico di Bilancio (Dpb) per il 2022, varato martedì sera dal governo, è una cerniera fra il quadro di finanza pubblica per i prossimi anni del Documento di Economia e Finanza, aggiornato alla fine di settembre (Nadef), e la Legge di Bilancio che sarà al parlamento prossimamente.
Della Nadef mantiene i numeri aggregati, in particolare l’indebitamento netto, fissato per l’anno prossimo nel 5,6 per cento del Pil, con un maggior deficit dell’1,2 per cento rispetto a quanto sarebbe stato senza la decisione di settembre: i 24 miliardi della “manovra”. Una politica espansiva che si vuole continui «fino a quando il Pil e l’occupazione avranno recuperato non solo la caduta, ma anche la mancata crescita rispetto al livello del 2019. Si può prevedere che tali condizioni saranno soddisfatte dal 2024 in avanti».
L’Italia si prepara a sostenere che anche i vincoli del rinnovato Patto di Stabilità in discussione a Bruxelles non dovranno mordere la nostra finanza pubblica prima di quel momento.
Lo scopo del Dpb è di entrare in maggior dettaglio del Nadef nel delineare i provvedimenti della manovra. Dopo un esame della Commissione europea, il nostro Parlamento sarà chiamato a discutere e approvare, in forma di legge, un documento contenente decisioni ancor più precise: la Legge di Bilancio.
Negli ultimi tre anni il disegno della legge è stato presentato al Parlamento fra la fine di ottobre e l’inizio di novembre e approvato dopo il 20 dicembre (nel 2018 e 2020 all’ultimo momento, il 30 dicembre).
Rimangono al più due settimane per le decisioni di quest’anno. Per quel che varranno, viste le prospettive ancora incerte dell’economia e della pandemia: gli impegni della Legge potranno infatti essere modificati nel corso dell’anno prossimo con nuove delibere parlamentari.
Negli ultimi due anni, per l’emergenza pandemica, la somma degli scostamenti dei deficit da quanto previsto nelle Leggi di Bilancio ha superato addirittura i 150 miliardi, in media più del 4 per cento del Pil di ogni anno.
Il testo del Dpb non individua la struttura dei provvedimenti, elencati solo come titoli di una tabella cui sono associati i loro costi per la finanza pubblica in ciascuno dei prossimi tre anni.
Della riforma fiscale, ad esempio, si dice solo che verrà “attuata la prima fase” e la si cifra nella forma di frazioni dell’1 per cento del Pil del 2022. Quanto agli ammortizzatori sociali, si enuncia che dovranno essere “più efficaci ed efficienti”, stanziando meno dello 0,1 per cento del Pil.
Sul reddito di cittadinanza si menziona solo una «integrazione delle sue risorse» (meno dello 0,05 per cento del Pil nel 2022). Sul bruciante problema della quota 100 sono previsti generici “interventi in materia pensionistica” stanziando una media dello 0,03 per cento del Pil in ognuno dei prossimi tre anni. E così via.
Ciò non contrasta con l’impressione, lasciata da alcune dichiarazioni e indiscrezioni, che l’approvazione unanime del documento sia dovuta alla genericità delle misure contemplate e che l’accordo dei ministri richieda sostanziali rifiniture.
È augurabile che bastino i prossimi giorni per precisare le misure per le quali il governo verrà giudicato dalla Commissione europea, dai mercati e dagli elettori.
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