- Sergio Mattarella ha dedicato la parte finale del suo discorso di insediamento alla declinazione della parola dignità. In ben 18 articolazioni
- Ce ne è una di declinazione della parola dignità che in verità ne contiene molte altre. E più di altre per essere realizzata comporta il cambiamento: dell’organizzazione sociale e produttiva, delle politiche pubbliche, degli stereotipi di genere
- Il Parlamento, se volesse ascoltare la chiamata del Presidente dovrebbe cominciare da qui. Per l’impatto di sistema che avrebbe superare la contrapposizione tra maternità e lavoro. Per la dignità del Paese e per il suo futuro
Sergio Mattarella ha dedicato la parte finale del suo discorso di insediamento alla declinazione della parola dignità. In ben 18 articolazioni. Parola scelta con cura. Che parla del senso di se e del rispetto dovuto a se stessi e agli altri.
Ciascuna delle 18 declinazioni della parola dignità che il Presidente ha proposto, evoca l’idea di una società di eguali, nessuno escluso. Una visione, una prospettiva cui tendere e a cui ispirare le politiche e le scelte. Pronunciate proprio nel luogo, il Parlamento, in cui le une e le altre si formano. E naturalmente un minuto dopo un discorso così forte si propone la domanda del come. Come realizzare quelle scelte. Se condivise.
Ce ne è una di declinazione della parola dignità che in verità ne contiene molte altre. E più di altre per essere realizzata comporta il cambiamento: dell’organizzazione sociale e produttiva, delle politiche pubbliche, degli stereotipi di genere. Perché, ha detto il Presidente, dignità è non dover scegliere tra maternità e lavoro. Che è però la realtà delle giovani donne ed è anche il senso profondo della solitudine delle lavoratrici madri. Sole in quella scelta.
Costrette a scegliere, appunto perché sole. L’alternativa a cui tendere, la visione del futuro, la dignità da ritrovare è la libera scelta di maternità. Che certo non è un destino, meglio ripeterlo, o la condizione per il riconoscimento sociale. E anche questo è meglio ripeterlo. Ma non può essere la rinuncia. Una rinuncia che parla anche del lavoro come negazione della libertà. Di precarietà del lavoro, di lavoro povero e, di nuovo, della solitudine di una generazione.
Il Parlamento, se volesse ascoltare la chiamata del Presidente dovrebbe cominciare da qui. Per l’impatto di sistema che avrebbe superare la contrapposizione tra maternità e lavoro. Perché per farlo bisogna destinare investimenti importanti nelle infrastrutture sociali.
Promuovere la condivisione paritaria del lavoro di cura. Altro che i 10 giorni del congedo obbligatorio di paternità di cui siamo grati alla direttiva europea. Contrastare a scuola, e in ogni dove, gli stereotipi di genere. Sostenere le imprese in una diversa e flessibile organizzazione del lavoro che la rivoluzione digitale consente e caricare sulla fiscalità generale il costo del 100 per cento della indennità obbligatoria di maternità. E bisognerebbe proprio farlo. Per la dignità del paese e per il suo futuro.
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