Visto che già per legge gli autonomi sono così favoriti, il governo dovrebbe almeno cercare di abbattere l’evasione, a maggior ragione perché è diventata così conveniente. Le nuove tecnologie ormai lo consentono, con strumenti più efficaci del redditometro: basterebbe utilizzare le informazioni già in possesso della pubblica amministrazione, incrociando i dati
La goffa (a dir poco) vicenda del redditometro rivela le reali intenzioni di questo governo sulla questione dirimente, da sempre, nel rapporto fra stato e cittadini: le tasse. In Italia tolleriamo da decenni un’evasione di massa che non ha paragoni negli altri paesi avanzati.
Questa evasione toglie ogni anno, dalle nostre casse, quasi 90 miliardi di euro: sono soldi che potrebbero essere utilizzati per garantire il diritto alla salute, per ridurre le disuguaglianze, per investimenti di cui l’Italia e anche la nostra economia hanno drammaticamente bisogno, dagli asili nido alle università, alla ricerca, alle infrastrutture; peraltro proprio l’evasione di massa, assieme al debito pubblico che poi è (in parte) una conseguenza, rappresenta il motivo principale della diffidenza europea verso l’Italia. Di fronte a questo problema, il redditometro è davvero uno strumento minimo, che serve a scovare perlopiù gli evasori maggiori. Ebbene, ci dice il governo: noi nemmeno loro vogliamo toccare. Guai solo a provarci!
E questo in un contesto in cui il governo ha già incentivato l’evasione degli autonomi, anziché contrastarla; aumentando ancora di più, anziché ridurle, le ingiustizie e distorsioni del nostro sistema fiscale. Il regime forfettario per i lavoratori autonomi, voluto dalla Lega già ai tempi del Conte I e poi ulteriormente aggravato da Meloni, ha introdotto per questa categoria un regime fiscale enormemente favorevole, con un’imposta onnicomprensiva di appena il 15 per cento fino alla soglia di fatturato di 65mila euro (Conte I), poi salita a 85mila (Meloni): evadere ovviamente diventa ancora più conveniente, per mantenersi al di sotto della soglia.
Il manifesto di Oxfam
Ora, se già per legge gli autonomi sono così favoriti, il governo dovrebbe almeno cercare di abbattere l’evasione, a maggior ragione perché è diventata così conveniente. Le nuove tecnologie ormai lo consentono, con strumenti più efficaci del redditometro: basterebbe utilizzare le informazioni già in possesso della pubblica amministrazione, incrociando i dati, e poter fare verifiche sui conti correnti. O forse basterebbe ancor meno: il solo annuncio di volere applicare queste misure, se credibile, potrebbe far recuperare decine di miliardi. Ma il governo, con la retromarcia sul redditometro, fa l’opposto: lascia intendere a tutti di non voler combattere l’evasione.
E per rendere ancor più inequivocabile il messaggio, si ingegna in una serie di condoni, ovviamente sotto elezioni: l’ultimo, di questi giorni, riguarda gli abusi edilizi e viene orwellianamente chiamato piano «salva casa» (!). A noi tocca ripeterlo con tutte le forze: con politiche di questo tipo un paese è destinato non solo alla bancarotta finanziaria, ma al declino economico, sociale, civile.
Tanto più perché tutto questo è in palese controtendenza rispetto agli indirizzi prevalenti nel mondo avanzato. Sempre più studiosi concordano sul fatto che il problema delle nostre economie oggi è non soltanto, ovviamente, fare pagare le tasse (questo è davvero il minimo). Ma riformare i sistemi fiscali in modo da renderli più progressivi, così da ridurre le disuguaglianze e da reperire risorse preziose per il welfare e per affrontare la crisi climatica: non soltanto eliminando i paradisi fiscali e facendo pagare il giusto alle multinazionali, ma tassando i grandi patrimoni e le eredità, aumentando la progressività delle imposte sui redditi e adottando a un regime che non discrimini fra i cittadini.
In Italia, questo è quello che chiede un manifesto firmato da oltre 130 economisti, presentato nei giorni scorsi da Oxfam Italia: è una direzione opposta alle «riforme» fatte o annunciate dal governo Meloni in materia fiscale, che invece aumentano ancora di più le disuguaglianze e riducono il gettito. Ma è questo, occorre dirlo, anche un discrimine fondamentale fra la destra e la sinistra: gravissimo è stato dimenticarsene, in anni recenti, indebolire questo confine. Ed è il motivo per cui una sinistra forte, anche culturalmente, consapevole del problema, che porti avanti con coerenza la battaglia per un fisco giusto, oggi è nell’interesse di tutto il nostro Paese.
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