Un’istituzione europea che propone di ricorrere alla deportazione di migranti in centri collocati in paesi terzi, celandola sotto la doratura di una maggiore efficienza nei rimpatri, ha evidentemente deciso di rinnegare uno dei principi ispiratori dell’Ue: la tutela dei diritti di tutti. È ciò che fa la Commissione europea attraverso la bozza del nuovo regolamento per i rimpatri.

Una precisazione. I centri ai quali fa riferimento il testo non hanno nulla a che vedere con quelli di cui al Protocollo tra Italia e Albania. In questi ultimi, sottoposti alla giurisdizione italiana, sono detenuti richiedenti protezione internazionale, secondo la procedura accelerata di frontiera. Gli hub, invece, sono soggetti alla giurisdizione del paese terzo e destinati a chi, dopo il rigetto della richiesta di asilo e l’esaurimento di ogni ricorso, debba essere rimpatriato.

Dunque, l’Ue non ha “copiato” il governo Meloni. Semmai è vero l’opposto: è il governo che, sulla scia della proposta Ue, sta ora pensando di convertire i centri albanesi in hub per il rimpatrio.

La maggiore efficienza

Il regolamento parte dal presupposto che il basso tasso di rimpatri dall’Ue dipenda, tra l’altro, dal «mosaico di 27 diversi sistemi nazionali, ciascuno con il proprio approccio». Il nuovo testo prevede procedure comuni e un ordine di rimpatrio europeo, valido in tutta l’Ue. La maggiore efficienza del processo, tuttavia, non potrà garantire l’effettività dei rimpatri. Questi ultimi, infatti, dipendono non tanto dalla frammentazione normativa, quanto dalla difficoltà di concludere accordi con i paesi di provenienza affinché riammettano i propri cittadini.

Per aggirare l’ostacolo, la bozza di regolamento dispone la possibilità di trasferimenti forzati dei migranti in paesi terzi diversi da quello di origine, con cui lo stato Ue abbia stipulato un accordo («hub di ritorno»).

Le criticità

Il regolamento costituisce la cornice giuridica entro cui potranno essere stipulati gli accordi bilaterali, che definiranno le «condizioni di soggiorno» negli hub. Il fatto che la base legale per i trasferimenti, cioè il regolamento, sia una scatola vuota e che tutto quanto attiene alla permanenza sia rimessa a tali accordi, fa sorgere dubbi circa il rispetto della riserva di legge prevista dall’articolo 13 della Costituzione, nonché dagli articoli 5 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Gli hub non sono centri per il rimpatrio regolamentati come quelli italiani (Cpr), nei quali il trattenimento – per un periodo massimo di 18 mesi – è finalizzato al ritorno nel paese di provenienza. Si tratta, invece, di luoghi dove i migranti saranno confinati senza una finalità precisa, che non sia quella di tenerli lontani dall’Europa, e nei quali potranno restare anche indefinitamente.

Peraltro, il regolamento Ue non prevede alcuna trasparenza sugli accordi bilaterali, e in Italia si sa che, per quanto attiene alle relazioni internazionali, la regola è l’opacità.

I diritti umani

Un accordo potrà essere concluso solo se il paese terzo rispetti «gli standard e i principi internazionali sui diritti umani in conformità al diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento», ma non si precisa come tale requisito potrà essere verificato in concreto. Non si prescrive che il paese abbia firmato determinate convenzioni internazionali, nonostante il richiamo che ad esse fa il regolamento, o che debba rientrare tra quei “paesi sicuri” che l’Ue definirà entro il prossimo giugno, anche se è probabile che così sarà. Soprattutto il regolamento, non contenendo una disciplina dei centri per i migranti, non dispone nemmeno precise forme di controllo circa il rispetto dei loro diritti. È previsto il monitoraggio dell’attuazione dell'accordo bilaterale da parte di un organo o di un meccanismo indipendente. Ma la norma pare una clausola formale.

Dunque, non sarà dato sapere cosa accadrà negli hub, tanto più che, come detto, essi saranno sottoposti alla giurisdizione dei paesi terzi. Quando gli hub si saranno riempiti, e tali paesi avranno bisogno di svuotarli e poi riempirli di nuovo, per incassare denaro dagli Stati Ue, è facile immaginare quale potrebbe essere il destino dei migranti, in mancanza di controlli. Si pensi, ad esempio, alle persone abbandonate in zone desertiche della Tunisia, al confine con Algeria o Libia, dopo gli accordi dell’Ue con Kais Saied per contenere l’immigrazione irregolare.

«Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza», è scritto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Peccato che l’Unione paia essersene dimenticata.

© Riproduzione riservata