Due anni di governo e otto decreti in materia di migranti, l’ultimo votato dal Senato mercoledì 4 dicembre. Se sommiamo una ventina di altri provvedimenti la destra, per difendere patria e confini, ha partorito una nuova misura al mese. Significa almeno due cose. La prima è che vivono nell’ossessione di un fenomeno epocale piegato a un allarme repressivo nella speranza di cavalcare le paure e aumentare i voti nelle urne. La seconda è che navigano a vista inseguendo l’umore del tempo e umiliando la Costituzione
Due anni di governo e otto decreti in materia di migranti, l’ultimo votato dal Senato mercoledì 4 dicembre. Se sommiamo una ventina di altri provvedimenti la destra, per difendere patria e confini, ha partorito una nuova misura al mese. Significa almeno due cose. La prima è che vivono nell’ossessione di un fenomeno epocale piegato a un allarme repressivo nella speranza di cavalcare le paure e aumentare i voti nelle urne.
La seconda è che navigano a vista inseguendo l’umore del tempo e umiliando la Costituzione. Lo hanno fatto col primo decreto, quello che puniva le ong colpevoli di salvare la gente in mare. Poi si sono accaniti sui minori sommando sofferenza a solitudine e disagio. Lo hanno confermato da ultimo con un testo (il decreto 145/2024) che al pregresso aggiunge un di più di arbitrio giuridico e disumanità.
Cimitero Mediterraneo
A tenere assieme il tutto un solo filo rosso: da anni moltiplicano gli slogan senza indicare una soluzione, mentre corpi innocenti continuano a morire. Come a Cutro, a pochi metri dalle nostre coste, con un’inchiesta aperta che denuncia le loro responsabilità. Quasi cento morti solamente in quella tragedia. Con le bare allineate nella palestra, alcune di legno bianco perché misuravano meno di un metro.
Neppure lì davanti sono andati a chinare la testa. Hanno preferito una passerella nei tg con volo di andata e ritorno e rapida seduta del governo sui banchi del Consiglio comunale. Slogan, coniano e utilizzano slogan rivestiti puntualmente da decreti. Elias Canetti spiegava che nelle lingue celtiche «slogan» significava «inno di battaglia dei morti».
Tradotto per noi: una politica di slogan è quella che incita allo scontro, aizza gli animi, ma senza una visione e una morale. Nell’ultimo provvedimento si stabilisce l’obbligo del migrante a collaborare nell’accertamento della sua identità. Giusto, è prima di tutto nel suo interesse.
Ma subito dopo viene decretata la licenza di ispezionare ogni dispositivo elettronico in suo possesso, anche se minorenne e di farlo con la sola decisione del questore, senza autorizzazione giudiziaria così violando l’articolo 13 della Costituzione.
Flussi regolati
Non prevedono alcun incremento delle quote per un flusso regolato di lavoratori stranieri quando Confindustria da sola registra un bisogno di centomila nuovi ingressi. La risposta è diecimila persone, in via sperimentale, per l’assistenza a disabili e anziani. Sui settori vitali dell’agricoltura e del turismo, il nulla.
In compenso c’è il rifiuto a regolarizzare quanti sono già qui e una volta scaduto il permesso di soggiorno, senza un tempo adatto a cercare un nuovo impiego, sono condannati a ingrossare l’esercito degli irregolari. Ancora, vengono esclusi i patronati già abilitati a inviare le richieste di ingresso, il che rallenterà i tempi ostacolando il ricorso a flussi regolari. Per capirsi, quelli da cui dipende la sopravvivenza del nostro welfare: dalla sanità alle pensioni.
Improvvisazione e superficialità
Tutto questo lo fanno mescolando improvvisazione e superficialità. Sull’elenco dei cosiddetti “paesi sicuri” hanno preso un decreto incardinato al Senato e nottetempo lo hanno trasformato in un emendamento al decreto in discussione alla Camera. Nulla di diverso da un gioco delle tre carte, col particolare d’avere sottratto ai parlamentari la prerogativa a disporre dei sessanta giorni canonici per l’esame della misura, compresi i suoi caratteri di necessità e urgenza.
Tanto più che un elenco di “paesi sicuri” era stato aggiornato a maggio, non dalle opposizioni ma dal ministro Antonio Tajani. Ed era la stessa lista usata dal tribunale di Roma per non convalidare il fermo dei dodici migranti deportati in Albania. Giudizio avallato dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre dove si è fissato il principio per cui un paese è sicuro solo se lo è in ogni sua parte.
Con una lunga serie di emendamenti le opposizioni hanno chiesto di togliere dalla lista dei “paesi sicuri” nazioni che palesemente non lo sono. In particolare lo abbiamo chiesto lo stesso giorno in cui nel tribunale di Roma un ex detenuto nelle carceri egiziane aveva rilasciato questa testimonianza: «Giulio Regeni l’avevo visto mentre usciva dalla palazzina del carcere…era ammanettato con le mani indietro, cogli occhi bendati…non riportava tracce di sangue, ma di seguito l’avevo rivisto uscendo dall’interrogatorio, sfinito dalla tortura, tra due carcerieri, portato a spalla per essere accompagnato alle celle».
Sono state lette in commissione quelle frasi per motivare la follia di giudicare l’Egitto un paese sicuro. Maggioranza e governo non hanno battuto ciglio. Ma neppure questo è bastato ed è toccato alla Cassazione stabilire un rinvio del giudizio sul ricorso presentato dal governo in attesa di una nuova pronuncia della Corte di giustizia europea.
Con uno speciale accanimento hanno stabilito che per il ricongiungimento familiare serve che un membro della famiglia abbia una permanenza continuativa nel nostro paese di almeno due anni, non più uno solamente, senza considerare che il posticipo può voler dire la condanna a morte degli ultimi tra gli ultimi. Di chi cerca solo di salvarsi: da una guerra, dalla fame, dagli stupri.
I centri in Albania
Tutto questo sino al paradosso dei centri di trattenimento in Albania. Un miliardo buttato via. Hanno spiegato che si tratterebbe di un modello studiato dall’Europa. La verità è che l’Europa ride di un’operazione tanto assurda. Con una nave che sbarca dodici migranti e se li riporta indietro, e ne sbarca altri otto, e si riporta pure quelli.
Dai banchi del governo hanno tenuto a chiarire che il costo reale della nave Libra è stato un’inezia al confronto di operazioni assai celebrate come “Mare nostrum”. Evidentemente ignari di una differenza: che quei costi servivano a salvare gente che annegava, non a mostrare i muscoli a pochi disperati.
Infine, con l’ultimo colpo di mano, si sono occupati dei giudici “disobbedienti” perché “obbedienti” solo alle leggi e al primato della giurisprudenza europea su quella domestica. La risposta è stata trasferire le competenze dalle sezioni specializzate dei tribunali alle corti d’appello. Salvo che quei giudici la materia l’hanno studiata per anni. Passare la pratica alle corti d’appello senza risorse e personale attrezzato significa intasare quegli uffici con ripercussioni pesanti sullo snellimento delle procedure e i tempi dei processi.
Come opposizioni lo abbiamo detto e ripetuto dapprima in commissione e poi in Aula. Ora lo dice anche il Csm (Consiglio superiore della magistratura) che nel bocciare la misura parla esplicitamente del «rischio concreto di pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi fissati per il settore giustizia dal Pnrr». Per mesi abbiamo chiesto la ratio di tutto ciò, ma non c’è stata risposta perché una risposta non c’è.
Difendere della destra
Penso che questo decreto sia parte della ferocia ideologica che anima da tempo il capo della Lega e vicepresidente del Consiglio. Questa volta però, in alcuni momenti, mi è parso di cogliere l’imbarazzo del campo più moderato dentro il centrodestra. Perché non dev’essere semplice per donne e uomini che dicono di avere a cuore la dignità di ogni essere umano, il valore della famiglia, il primato della vita, alzare la mano e licenziare norme che quell’insieme di principi e valori letteralmente calpestano.
Ma qui si entra in un campo privato, persino intimo, com’è la coscienza di ciascuna e ciascuno di noi. Perché poi la lotta politica è fatta di molte cose: il consenso, il potere, i rapporti di forza. Ma la coscienza, quella è fatta di coerenza tra ciò che si è, ciò che si dice e quello che si fa.
Se penso a un sottosegretario di questo governo che prova «gioia» quando lo stato di diritto viene ferito dietro il vetro oscurato di una volante della polizia, non mi stupisce che norme simili trovino sostegno nei banchi di Fratelli d’Italia. Tanto meno può stupire il sostegno della Lega che nel nome traviato della sicurezza offende la dignità di donne e uomini colpevoli soltanto della loro povertà.
Ma i cosiddetti moderati, i sinceri liberali dentro il centrodestra, come fanno a votare – userò la vecchia metafora di un ministro leghista – una “porcata” simile? Spiegava l’anziano Vittorio Foa ai ragazzi del liceo di Formia: «I valori non si insegnano, i valori si vivono». Penso avesse ragione. E allora torna alla mente la risposta di Benjamin Franklin a una signora che 250 anni fa gli chiese, «ma quindi professore, che forma di governo avremo?». E lui di rimando, «una democrazia, signora. Sempre se saprete difenderla».
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