- “Sovranità alimentare” è un concetto sfuggente e decisamente sospetto nella declinazione che ha assunto nella lingua italiana, ma da qualche giorno è diventato il secondo nome di un ministero un tempo glorioso come quello dell’agricoltura.
- In Francia, dove c’è già un ministero della Sovranità alimentare, quest’ultima è intesa come tema strutturalmente legato al rapporto tra occidente ricco e terzo mondo povero; un tema di politica internazionale, più che di politica agricola in senso stretto.
- In Italia questo termine ha sempre avuto una connotazione ideologica ben precisa, diciamo di sinistra, ma con evidenti scivolate nazionalistiche. Ed ecco che la sovranità alimentare è diventata l’etichetta generica per tutti i movimenti anti europeisti, anti ogm, anti glifosato, anti nutriscore, ecc.
“Sovranità alimentare” è un concetto sfuggente e decisamente sospetto nella declinazione che ha assunto nella lingua italiana, ma da qualche giorno è diventato il secondo nome di un ministero un tempo glorioso come quello dell’agricoltura. A dir la verità, non si tratta di un’idea originale, perché ci sono già parecchi governi in giro per il mondo che a vario titolo hanno creato ministeri con questa denominazione, perfino i nostri cugini d’Oltralpe poco più di un anno fa hanno istituito le ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire.
Questo termine ha una storia abbastanza lunga, essendo nato più di 25 anni fa e si è sempre connotato a livello internazionale per una spiccata opposizione al ruolo delle multinazionali in campo agricolo e al sistema capitalistico in senso generale.
Sempre più dipendenti
Di fatto, la sovranità alimentare è diventata un tema sempre più rilevante nei dibattiti politici, soprattutto in relazione alla situazione dei paesi detti “in via di sviluppo”; i quali molto spesso hanno un sistema agricolo completamente piegato alle esigenze dei mercati internazionali, come nel caso dell’Indonesia e della Malesia che coltivano palme da olio, o dell’Africa occidentale, quasi totalmente votata alla produzione di arachidi.
Per questi paesi perseguire la sovranità alimentare significa sottrarsi al perverso meccanismo che li rende sempre più dipendenti dagli aiuti internazionali per far fronte ai bisogni primari e di conseguenza finisce per spazzare via tutte le tradizioni alimentari.
Ad esempio, il grano proveniente dalle organizzazioni umanitarie impone ai paesi che lo ricevono un tipo di panificazione che non fa parte della loro storia. La salvaguardia delle produzioni locali e delle conseguenti tradizioni alimentari diventa un elemento centrale in un processo di affrancamento economico e di costruzione di modelli di sviluppo più equilibrati.
La sovranità alimentare è quindi un tema strutturalmente legato al rapporto tra occidente ricco e terzo mondo povero; un tema di politica internazionale, più che di politica agricola in senso stretto.
Tanto per essere chiari, il ministero della Sovranità alimentare francese è retto da un signore che si chiama Marc Fesneau, famoso per aver impedito nel 2018 la messa al bando del glifosato, il quale ha più volte dichiarato che per lui perseguire la sovranità alimentare significa favorire lo sviluppo della produzione alimentare nei paesi poveri, stabilire scambi equi e lavorare per l’armonizzazione delle regole europee: politica internazionale, appunto.
Scivolate nazionalistiche
In Italia questo termine ha sempre avuto una connotazione ideologica ben precisa, diciamo di sinistra, ma con evidenti scivolate nazionalistiche. Del resto, “sovranità” suona terribilmente simile a “sovranismo” ed ecco che la sovranità alimentare è diventata l’etichetta generica per tutti i movimenti anti europeisti, anti ogm, anti glifosato, anti nutriscore, ecc., ma al contempo a favore del biologico, del biodinamico, del chilometro zero, della salvaguardia di tutti i grani antichi, della dieta mediterranea (qualsiasi cosa voglia dire), del divieto di vendere kebab nei nostri centri storici e così via.
Come si vede, tutti concetti che con la sovranità alimentare propriamente detta non hanno proprio nulla a che fare. La tendenza italiana a guardare il mondo attraverso un imbuto rovesciato impedisce di comprendere i problemi e i termini usati per descriverli nella loro esatta dimensione.
Infatti, a strepitare per la nuova denominazione del ministero dell’Agricoltura sono le associazioni agricole sedicenti di sinistra, che hanno sempre affrontato questo argomento dal punto di vista dei sussidi e degli aiuti da dare ai piccoli produttori italiani, per permettere loro di stare sul mercato anche a fronte di una evidente inefficienza.
Slow Food, Terra!, Associazione Rurale Italiana e altri ancora ci hanno decantato per decenni le virtù del chilometro zero, come panacea per tutti i mali della nostra agricoltura. Bene, adesso c’è un ministero per questo. Lo ha fatto la destra, questo dimostra che quegli argomenti erano di destra, ma soprattutto dimostra la differenza tra idea e azione, come avrebbe detto De Andrè.
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