- Il negoziato tra Mef e Unicredit è collassato perché Andrea Orcel non mai avuto intenzione di prendersi parte di MPS o perché la banca senese è messa peggio del temuto? Ognuno elabori la propria narrazione.
- L’operazione “guai ai vinti” di Unicredit può essere accusata di intento predatorio ma nasce dalla estrema debolezza negoziale della controparte, checché ne pensi la politica.
- Ora serve ripartire, auspicabilmente non dai tic che ci portano a gonfiare bubboni sino a minacciare di sepsi l’intero organismo economico.
In un paese che fa della dietrologia e delle narrazioni la propria cifra stilistica, non abbiamo tardato a leggere spiegazioni alternative sul collasso del negoziato per accasare una parte di Banca Mps presso Unicredit. Ci chiediamo ad esempio se l’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, non abbia in realtà mai avuto intenzione di portarsi a casa questa porzione di banca, e abbia continuamente rilanciato la posta per farsi dire di no.
Oppure se le condizioni effettive della banca senese siano in realtà peggiori di quanto ipotizzato; una sorta di sorpresa talmente ricorrente da non essere ormai più tale. In fondo, la valutazione dei crediti deteriorati è un’arte, più che una scienza.
Qualcuno dirà che le richieste di Orcel erano assurde: non solo neutralità di capitale ma addirittura accrescimento degli utili. Molti di noi commenterebbero che sono tutti buoni a fare Cristiano Ronaldo quando la squadra avversaria neppure è in campo.
Ma non bisogna scordare un punto centrale all’intera vicenda: Orcel ha tentato di ripetere l’operazione “guai ai vinti”, con cui Intesa Sanpaolo si fece finanziare dai contribuenti italiani l’acquisto della parte sana delle due collassate popolari venete proprio perché la controparte ha leve negoziali pressoché inesistenti. E quelle poche di cui dispone vengono amputate dalle condizioni poste dalla politica.
Nel caso di Mps, alquanto surreali: la storicità del marchio, che ricorda lo psicodramma nazional-popolare su quello di Alitalia; oppure l’imprescindibile “conoscenza del territorio”, senza la quale, par di capire, intere porzioni del nostro paese verrebbero desertificate e affamate per carenza di credito.
Per attualizzare la vicenda, ora siamo alla necessità di mantenere una banca sotto controllo pubblico per renderla sinergica alle erogazioni del Pnrr. Che, detto dalla politica, dovrebbe far correre un brivido lungo la schiena dei contribuenti.
Che accadrà, ora? Immagino la richiesta alla Commissione Ue di “più tempo”, che dovrebbe essere il testo del nuovo inno nazionale italiano. Perché questo paese non ha mai tempo a sufficienza, come Bertoldo che non trovava l’albero a cui farsi impiccare.
Il Tesoro potrebbe tentare la nazionalizzazione piena invocando la seconda ricapitalizzazione precauzionale in un lustro, visto che lo scenario avverso degli stress test europei mostrava un capitale di vigilanza incenerito.
In quel caso, però, scatterebbe il cosiddetto burden sharing, cioè l’azzeramento delle obbligazioni subordinate di Mps, e ci sarebbero nuove ondate di sdegno patriottico.
Torneremo a leggere di improbabili confronti con le banche tedesche e di complotti ai danni nostri e del nostro prodigioso tessuto economico. Complotti di evidente matrice autoinflitta, ma transeat. Abbiamo una incredibile capacità di gonfiare bubboni sino a rischiare la sepsi dell’intero organismo, non potevamo sottrarci a questa ennesima opportunità.
Quale migliore occasione per dimostrare che l’Italia riparte? Dai propri tic, sicuramente.
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