- La sentenza sul M5s interviene nella vita politica di un partito contestando la legittimità delle procedure, anche se non c’è nessuna legge che obblighi un partito a seguire determinate prassi. Se in un partito vengono violate le regole interne, spetta alla lotta politica interna ricondurlo alla legalità.
- Il fatto che intervenga una autorità esterna delegittima fatalmente il ruolo dei partiti nel sistema politico.
- Questa intrusione solleva molte perplessità per quanto attiene la divisione dei poteri e la democrazia rappresentativa.
L’azzeccagarbuglismo italico ha prodotto un’altra perla: la decapitazione giudiziaria, in via sospensiva , nemmeno con una sentenza passata in giudicato, della leadership di un partito.
Se non si fosse trattato del Movimento Cinque stelle ma di un altro partito avremmo letto ben altri commenti sulla stampa. Trattandosi dei grillini, che di pasticci tra non-statuti, nuovi statuti e dizioni varie ne hanno confezionati a iosa, si preferisce irridere i loro guai, mentre si sorvola sulla questione centrale: l’intrusione dei tribunali sulla vita interna dei partiti.
Da anni autorevoli analisi politologiche hanno sottolineato come vi sia una tendenza crescete alla “giurisdicizzazione” della vita politica. Di questo fenomeno vanno distinti due aspetti: da un lato, l’inserimento nelle costituzioni di riferimenti al ruolo centrale dei partiti politici nell’ordinamento democratico, e l’introduzione di leggi specifiche sui partiti politici; dall’altro, il ricorso alla magistratura ordinaria per dirimere controversie interne ai partiti. Mentre il primo aspetto fornisce un riconoscimento ai partiti e li garantisce, il secondo invece mina la loro legittimità. L’intervento dei giudici di Napoli entra in questo secondo caso.
I tribunali sono intervenuti anche nel passato per dirimere le dispute su simboli, sedi, risorse, e soldi quando avvenivano scissioni, come tra Pci e RIfondazione comunista nel 1991, e nel Partito popolare all’epoca del conflitto tra Gerardo Bianco e Rocco Buttiglione. Ma quelle erano cause di divorzio dove si litigavano i servizi del corredo.
La sentenza sul M5s interviene nella vita politica di un partito contestando la legittimità delle procedure, anche se non c’è nessuna legge che obblighi un partito a seguire determinate prassi. Se in un partito vengono violate le regole interne, spetta alla lotta politica interna ricondurlo alla legalità.
Il fatto che intervenga una autorità esterna delegittima fatalmente il ruolo dei partiti nel sistema politico. Non godono più di piena indipendenza se le loro norme interne sono soggette a interpretazione da parte di un altro organo dello stato, la magistratura, senza che alcuna legge lo preveda.
Questa intrusione solleva molte perplessità per quanto attiene la divisione dei poteri e la democrazia rappresentativa e fornisce l’occasione per dare finalmente attuazione all’articolo 49 della Costituzione e varare una (buona) legge sui partiti, prendendo esempio da quella tedesca.
Equiparare ancora i partiti ad associazioni volontarie come le bocciofile non è più ammissibile. Così come non è accettabile che vigano ancora norme antidemocratiche nei partiti quali le nomine a vita dei leader, l’assenza di procedure dal basso all’alto per la selezione dei candidati e la formazione delle volontà politiche, l’incerta periodicità dei congressi, o la proprietà personale del partito in quanto pagato dal leader, come in Forza Italia.
© Riproduzione riservata