- Il Natale è una cosa seria. O da ridere. Un evento che segna l’inizio di un tempo nuovo, un fatto storico, l’irruzione di Dio nella vita del mondo, attraverso suo Figlio. Per chi crede.
- Per chi non crede, invece, è l’obbedienza a tradizioni sempre più insopportabili, a surplus calorici che eviteremmo volentieri, il diritto-dovere del dono da cercare, e ricevere, una frenesia da fine del mondo, il tutto ancora più accelerato dalle risacche di pandemia.
- In questo clima tutt’altro che sereno, gli unici a cui possiamo aggrapparci sono coloro che nel mezzo della rivoluzione sono nati. I nostri figli. Nipoti. I nuovi. Nuovissimi. Saranno loro a vedere gli esiti di quello che i loro genitori, nonni, hanno principiato. E a vederli da vicino, senza pregiudizi nauseanti. Saranno i protagonisti di un mondo nuovo.
Il Natale è una cosa seria. O da ridere. Un evento che segna l’inizio di un tempo nuovo, un fatto storico, l’irruzione di Dio nella vita del mondo, attraverso suo Figlio. Per chi crede.
Per chi non crede, invece, è l’obbedienza a tradizioni sempre più insopportabili, a surplus calorici che eviteremmo volentieri, il diritto-dovere del dono da cercare, e ricevere, una frenesia da fine del mondo, il tutto ancora più accelerato dalle risacche di pandemia.
Una via di mezzo tra queste due visioni non sembra possibile. Eppure, a guardare bene, siamo già tutti quanti nel mezzo di un avvento straordinario. Ce ne dimentichiamo costantemente, soprattutto quelli che per ragioni anagrafiche hanno avuto la fortuna di vivere tra il vecchio e il nuovo mondo. Viviamo l’esplosione di una nuova era.
Una rivoluzione che sta cambiando il mondo così velocemente come mai, forse, era capitato in precedenza. Per alcuni, soltanto la prima rivoluzione industriale ha avuto questa portata. Siamo tutti, tutti, aggrappati alla criniera di un cavallo che corre all’impazzata.
Un cavallo digitale, comandato da pochi, forse nessuno, almeno di umano, la cui direzione è ignota. In questo clima tutt’altro che sereno, gli unici a cui possiamo aggrapparci sono coloro che nel mezzo della rivoluzione sono nati. I nostri figli. Nipoti. I nuovi. Nuovissimi. Saranno loro a vedere gli esiti di quello che i loro genitori, nonni, hanno principiato. E a vederli da vicino, senza pregiudizi nauseanti. Saranno i protagonisti di un mondo nuovo.
Guaderanno a questi decenni di infanzia digitale con il sorriso, ricordandoci come qualcosa di lontanissimo nel tempo e nello spazio. E faranno meglio di noi. Saranno più giusti, equi, sapranno rispettare, amare, come noi non riuscivamo più a esprimere, semplicemente perché figli di una cultura sfinita.
E nella terra che abiteranno dopo di noi, che avranno migliorato, depurato da tutte le brutture, ci sarà spazio anche per credere a Dio. Al dunque, ogni visione che sia tale parte dal medesimo sentimento. La speranza. Oppure disperare. Un futuro senza futuro.
I nostri figli come gli ultimi abitanti del pianeta, quelli che daranno il colpo di grazia a tutte le risorse, a tutta la bellezza. Chi ha una giovane vita da osservare lo faccia come Dante insegna: con occhio chiaro e con affetto puro. Le risposte che cerca sono nel loro sorriso. Scoprirà che sono loro il nostro Natale.
La nascita porta il cambiamento inciso nella pelle. Noi dobbiamo solo avere il coraggio di toglierci di mezzo. Lasciamogli le chiavi del mondo. Facciamogli edificare parole e pensieri nuovi. Magari scopriranno che già uno provò a parlare di rivoluzione, rivoluzione d’amore, un bambino, poi ragazzo, come loro. Nato duemila e ventuno anni fa.
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