- Le politiche di soccorso e contrasto al traffico adottate dall’Italia sono tali da non offrire soccorso finché non c’è la barca in “distress”, cioè fino a quando non c’è una situazione drammatica.
- Inoltre, non soltanto non riescono a prevenire la situazione di pericolo ma la causano senza che ci sia un cordone di sicurezza per gestirla.
- Piantedosi si deve dimettere. Non perché abbia violato le procedure, ma perché è convinto che quelle procedure siano giuste.
A modo suo è interessante l’informativa del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in parlamento, perché rivela un modo di pensare, un approccio alla questione degli sbarchi. Avrebbe potuto dire: mi dispiace per tutte quelle vite sprecate nel mare di Cutro, faremo tutto il necessario perché non succeda di nuovo.
Invece come messaggio ha scelto lo scaricabarile e il benaltrismo: le politiche di soccorso in mare non sono cambiate con questo governo, i naufragi ci sono sempre stati, il governo Meloni ha anche salvato tanta gente e le colpe sono tutte degli scafisti.
Ora, la questione degli scafisti è separata da quella dei soccorsi perfino nella normativa e nelle politiche: da un lato il cosiddetto law enforcement, dall’altro il search and rescue. Cioè c’è chi fa la lotta agli scafisti (Frontex, Guardia di finanza, intelligence, procure) e chi può salvare la gente (Guardia costiera, Ong, marina militare).
Il fatto che gli scafisti siano dei criminali è assodato, ma questa consapevolezza non riduce la responsabilità di chi può – e deve – salvare vite. Se un pedone viene investito da un automobilista ubriaco, la priorità è salvare la vita alla vittima dell’incidente o denunciare la pericolosità dell’alcol?
Però alcuni si salvanovi
Discutibile, da un punto di vista argomentativo, anche la scelta di sottolineare che durante i mesi del governo Meloni ben 24mila persone sono state portate in salvo.
Un po’ come se la Boeing, dopo che un suo 737 era precipitato in Indonesia, avesse scelto come linea difensiva il messaggio “però ricordatevi che quasi tutti gli altri nostri aerei sono atterrati sani salvi”.
Anche senza incrociare la ricostruzione di Piantedosi con le altre informazioni emerse in questi giorni, si nota che qualcosa non torna. O meglio, che emerge in modo chiaro: non c’era alcuna operazione di soccorso e non ci sarebbe mai stata, perché l’Italia si preoccupa di scoraggiare gli sbarchi, non di prevenire i naufragi.
Lo chiarisce la sequenza degli eventi descritta da Piantedosi. Il primo punto importante è che il modo in cui l’Italia presidia le coste e le acque territoriali determina le strategie degli scafisti. Può sembrare un’ovvietà, ma in questo caso significa che la scelta di puntare alla spiaggia di Steccato di Cutro e quindi incappare nella secca mortale deriva dalla consapevolezza che le acque vicine alla costa erano sgombre:
«Va, tuttavia, precisato che, sulla base degli elementi acquisiti dal ministero della Giustizia, gli scafisti decidono di sbarcare in un luogo ritenuto più sicuro e di notte, temendo che nella località preventivata vi potessero essere dei controlli; il piano prevedeva l’arrivo a ridosso della riva sabbiosa, con il successivo sbarco e la fuga sulla terraferma».
La seconda cosa che ci dice Piantedosi è che finché un barcone non entra in “distress”, cioè finché non c’è una emergenza conclamata, nessuno se ne cura. O meglio, il tema si pone soltanto in ottica di punire gli scafisti, ma dei poveracci che rischiano la vita a bordo non importa a nessuno.
Tutti sanno
L’areo dell’agenzia Frontex, alla sera del 25 febbraio, alle 23.03 già indica che probabilmente ci sono persone a bordo. E che di certo non stanno viaggiando in cuccette di prima classe, visto che la nave è un caicco non adeguato a trasporti di molti passeggeri.
Frontex comunica l’avvistamento della barca a «all’International Coordination Centre di Pratica di Mare e, per conoscenza, al Centro di coordinamento italiano dei soccorsi marittimi (Itmrcc), nonché al Centro Nazionale di Coordinamento (Ncc)».
Quindi tutti sanno, nessuno fa niente. Perché ancora non c’è l’emergenza, ma soltanto un trasbordo illegale di esseri umani (dove, ribadisco, la parte considerata rilevante è soltanto “illegale” e non gli esseri umani).
Primo lavamento di mani: l’aereo di Frontex finisce la benzina e torna alla base, non sentiremo più parlare dell’agenzia europea.
«L’assetto aereo, oltre ad aver captato una chiamata satellitare diretta in Turchia ed evidenziato boccaporti aperti in corrispondenza della prua, segnalava una risposta termica dei sensori di bordo e, quindi, la possibile presenza di persone sotto coperta. Fatta la segnalazione, l’aereo Frontex faceva rientro alla base per l’esigenza di rifornirsi di carburante».
Perché Frontex sparisce dalla storia? Perché ha comunicato le sue informazioni a chi se ne deve occupare, cioè gli apparati italiani deputati a combattere i trafficanti (l’International coordination center è la Guardia di Finanza) e a salvare la gente (l’Itmrcc è la Guardia costiera).
Perché l’operazione resta di law enforcement, cioè di lotta ai trafficanti, invece che di salvataggio?
Spiega Piantedosi:
«La segnalazione Frontex circa l’imbarcazione non rappresentava una situazione di pericolo; non c’erano state chiamate di soccorso di nessun genere».
Ma la chiamata di soccorso non poteva esserci perché, lo racconta lo stesso ministro, i trafficanti usavano una apparecchiatura Jammer per impedire telefonate e comunicazioni.
Comunque, cosa pensavano, che i migranti sottocoperta fossero in crociera? Se ci sono i trafficanti, chiaramente ci sono anche i trafficati. Cioè le persone da salvare.
Chiamare il 112
Ma per Piantedosi non è un problema, in caso di necessità di salvataggio di migranti, ci poteva pensare anche la Guardia costiera:
«Non c’erano state chiamate di soccorso di nessun genere; sullo scenario era presente un’unità navale della guardia di Finanza dedicata all’evento, che avrebbe potuto fornire ulteriori elementi mediante riscontro diretto e che, qualora fosse stato necessario, avrebbe anche potuto svolgere attività di soccorso quale risorsa concorrente, in linea con le previsioni del Piano nazionale sar».
Anche questa è una forma di confessione, perché sappiamo che quando la Guardia di finanza ha provato a salvare i naufraghi non ci è riuscita, perché le sue navi non erano in grado di reggere il mare grosso.
Dunque, se il piano Sar prevede come fisiologia affidare a navi inadeguate operazioni di salvataggio, l’eventualità che i migranti muoiano è contemplata dalle stesse linee guida dei salvataggi.
Il comportamento della Finanza, stando alle parole di Piantedosi, non è affatto coerente con una possibile operazione di soccorso, ma con una di contrasto al crimine: poiché la nave è ancora lontana dalla costa, la barca torna addirittura indietro a fare benzina, in attesa che arrivi nelle acque territoriali.
Secondo Piantedosi, il primo momento in cui si «concretizza l’esigenza di soccorso» è intorno alle 3.55 quando un migrante, o un trafficante, chissà, riesce a chiamare un numero di emergenza e chiedere aiuto:
«Sull’utenza di emergenza 112 giunge una richiesta di soccorso telefonico da un numero internazionale che veniva geolocalizzato dall'operatore della Centrale Operativa del Comando Provinciale dei carabinieri di Crotone e comunicato, con le coordinate geografiche, alla Sala Operativa della Capitaneria di Porto di Crotone».
Quindi, se il migrante non chiama, in Italia nessuno si muove.
La vera confessione
Ma la vera confessione, che attribuisce la responsabilità della tragedia a noi, all’Italia, alle nostre politiche di gestione degli sbarchi, è poco dopo:
«Tornando ai momenti immediatamente precedenti al naufragio e quindi ai racconti dei sopravvissuti, la navigazione era proseguita fino alle 03.50, allorquando, a circa 200 metri dalla costa, erano stati avvistati dalla barca dei lampeggianti provenienti dalla spiaggia e a quel punto gli scafisti, temendo la presenza delle forze dell’ordine lungo la costa, effettuano una brusca virata nel tentativo di cambiare direzione per allontanarsi dal quel tratto di mare».
Dunque, è il modo in cui è stata gestita la reazione, con uno spiegamento di forze a riva, con i lampeggianti di carabinieri e vigili del fuoco, a scatenare il panico a bordo e a spingere gli scafisti alla manovra che causerà il disastro e la tragedia. Questo lo dice Piantedosi, non i suoi critici.
Vale la pena riepilogare: le politiche di soccorso e contrasto al traffico adottate dall’Italia sono tali da non offrire soccorso finché non c’è la barca in “distress”, cioè fino a quando non c’è una situazione drammatica.
Inoltre, non soltanto non riescono a prevenire la situazione di pericolo ma la causano senza che ci sia un cordone di sicurezza per gestirla.
Piantedosi si deve dimettere. Non perché abbia violato le procedure, ma perché è convinto che quelle procedure siano giuste.
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