- Tra i vari capitoli della legge di bilancio, per come la conosciamo ora, è difficile scorgere provvedimenti dedicati all’occupazione giovanile. E la cosa stupisce non poco data l’attenzione più volte dedicata da Mario Draghi. Ma se vengono confermate misure come gli aiuti all’acquisto della prima casa o il sostegno agli affitti, sul fronte del lavoro si vede ben poco.
- I numeri al momento paiono positivi. Da un lato abbiamo il tasso di occupazione della fascia 15-24 anni che, pur particolarmente basso (18,5 per cento) è tornato al livello pre-pandemia, dall’altro quello della fascia successiva, quella tra i 25 e i 34 anni il cui tasso di occupazione a ottobre 2021 era più alto di quasi un punto rispetto al febbraio 2020.
- Fin qui le buone notizie, anche se richiederebbero una maggior analisi di dettaglio che al momento non è possibile fare. Ci sono però segnali che non rassicurano.
Tra i vari capitoli della legge di Bilancio, per come la conosciamo ora, è difficile scorgere provvedimenti dedicati al tema dell’occupazione giovanile. E la cosa stupisce non poco data l’attenzione più volte dedicata, spesso in solitudine rispetto alle dichiarazioni della politica italiana, da Mario Draghi. Ma se vengono confermate misure come gli aiuti all’acquisto della prima casa o il sostegno agli affitti, sul fronte del lavoro si vede ben poco.
Sarebbe invece un momento propizio per approfittare del positivo andamento dei numeri sul lavoro degli under 35 affrontando il nodo che resta scoperto, quello della qualità del lavoro. Perché se è vero che le norme non creano lavoro è vero anche che per quanto riguarda la fascia giovanile esistono alcune particolarità che riguardano il mercato del lavoro.
I numeri
Ma prima è bene guardare ai numeri, che paiono al momento positivi. Da un lato abbiamo il tasso di occupazione della fascia 15-24 anni che, pur particolarmente basso (18,5 per cento) è tornato al livello pre-pandemia, dall’altro quello della fascia successiva, quella tra i 25 e i 34 anni il cui tasso di occupazione a ottobre 2021 era più alto di quasi un punto rispetto al febbraio 2020.
Fin qui le buone notizie, che per farci gioire con più certezza richiederebbero una maggior analisi di dettaglio che al momento non è possibile fare. Ci sono però segnali che non rassicurano. In generale sappiamo infatti che la totalità dei nuovi occupati è di tipo temporaneo e per quanto riguarda i giovani non è possibile sapere oggi quanti di questi siano tirocini (Istat non li distingue).
I dati degli ultimi anni hanno mostrato un vero e proprio boom di questa forma di lavoro, e solo grazie al programma Garanzia giovani sono stati finanziati ben 560mila tirocini, consentendo alle imprese di avere a disposizione forza lavoro per cifre spesso inferiori ai 200 euro al mese a loro carico. Abbiamo poi i contratti a termine più tradizionali che incidono in misura maggiore nella fascia giovanile rispetto alla media nazionale.
Senza contare la selva di forme contrattuali tipiche del lavoro su piattaforma e del lavoro freelance fino alla forte incidenza, soprattutto in alcune regioni italiane, del lavoro nero tra i giovani. Il tema della qualità del lavoro è quindi strategico oggi per provare a garantire non tanto un posto stabile, categoria difficile da identificare oggi, quanto una possibilità di carriera in cui le transizioni occupazionali non siano una condanna da vivere in solitudine, senza supporti e senza strumenti di accompagnamento.
Riformare il lavoro
Su questi fronti occorrerebbe intervenire già nella legge di Bilancio con azioni strutturali sia sul lato del sostegno a forme contrattuali come l’apprendistato, in tutte e tre le sue forme, che garantiscono tutele sia rispetto al rapporto di lavoro sia rispetto alla contribuzione.
L’allocazione delle poche risorse disponibili andrebbe quindi inserita all’interno di un più ampio disegno di riforma delle politiche del lavoro per i giovani e non concentrata, come pur qualcuno ha chiesto, in forme di decontribuzione messe in campo negli ultimi anni e che hanno dato risultati non propriamente brillanti.
Sappiamo infatti che rispetto alle risorse stanziate il numero di giovani under 36 che è stato assunto con un contratto a tempo indeterminato che beneficia della decontribuzione è stato inferiore al 6 per cento del totale delle assunzioni. E questo proprio perché l’esistenza di forme di lavoro molto più convenienti sia in termini economici sia in termini di costi di gestione del rapporto di lavoro sembra disincentivare la possibilità di beneficiare della decontribuzione stessa.
Occorrerebbe quindi cambiare rotta e, oltre a potenziare l’apprendistato azzerando i contributi per tutte le imprese che lo utilizzano, costruire un sistema di tutele per i giovani nell’ambito del più ampio disegno, ad oggi assente, di costruzione di un sistema di politiche attive. Ma non possiamo immaginare che tutto questo possa spettare unicamente alla legge di Bilancio o al ruolo dell’attore pubblico.
Occorre che del supporto ai giovani nella costruzione di profili professionali solidi, del contrasto a forme ambigue o irregolari di lavoro, della formazione e delle garanzie si facciano carico anche e soprattutto i principali attori del mercato del lavoro.
Il riferimento è ai sistemi di relazioni industriali settoriali e territoriali, che avrebbero la rete di rapporti adatta a supportare l’intervento normativo e finanziario con la costruzione di un nuovo modo di concepire il ruolo dei giovani nel mercato del lavoro. Un nuovo assetto istituzionale quindi entro il quale però gli attori si muovano avendo i giovani come faro, oltre allo stanco esercizio retorico sulle loro condizioni. Questo a beneficio di tutti, nel medio-lungo termine, anche del loro stesso futuro.
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