Giustamente ha trovato le prime pagine dei giornali la presenza e il discorso di Giorgia Meloni alle celebrazioni della feste ebraica di Hanukkah presso la Comunità ebraica di Roma, dove la presidente ha condannato, e non è la prima volta, le leggi razziali, definendole “una ignominia”.
Purtroppo ormai questa frase, questa condanna, è stata svuotata del suo senso più profondo e vero: sul piano storico, in quanto mai accompagnata della parola fascismo, ovvero da coloro che quelle leggi le hanno volute e applicate, e senza mai aggiungere che furono l’apice di una serie di politiche liberticide che pesarono duramente sugli antifascisti e sull’intero popolo italiano.
Questa mancata contestualizzazione vale anche anche sull’oggi: non dimentichiamoci che la stessa premier, anche su invito di Liliana Segre, non ha voluto togliere il simbolo dell’Msi dal logo di Fratelli d’Italia e, come ha dimostrato l’inchiesta di Fanpage, sono forti i legami tra il partito della Meloni e le frange neofasciste in alcune zone d’Italia.
Senza significato
In questo modo, le parole di Meloni, anche se accompagnate da lacrime, sono prive di quel significato che dovrebbero avere e che vorrebbe rappresentare. Solo retorica ad uso pubblico. Il fascismo non rappresenta il male assoluto solo perché fece le leggi razziali, o meglio razziste, ma perché esso fu in toto una dittatura totalitaria, che annullò democrazia, azzerò le libertà individuali, ci portò dentro una guerra d’aggressione e si alleò con il più criminale dei governi che mai è apparso nella storia dell’uomo.
Purtroppo oggi è invece sufficiente condannare le leggi del 1938 (e ci mancherebbe) per sdoganare il fascismo e renderlo accettabile. Giorgia Meloni ancora oggi non ha mai preso una posizione chiara di distanza da quel regime e da quell’ideologia, anzi spesso ne ha richiamato il sistema valoriale.
Dio, patria e famiglia su tutti. Sempre lei durante il discorso d’insediamento ha banalizzato l’antifascismo, sovrapponendolo unicamente alle violenze durante le manifestazione degli anni Settanta, dimenticandosi che l’antifascismo nasce ben prima per contrasto al sistema dittatoriale costruito dal fascismo, e che ha fondato la nostra Repubblica scrivendo la Costituzione dove lei stessa ha giurato.
La condanna non basta
Purtroppo, come troppo spesso accade, nessuno o pochi hanno cercato di valutare e pesare quel discorso, che è stato riportato unicamente come cronaca, acriticamente, ma questa narrazione ha un peso mediatico e politico importante. Tutto questo rappresenta la crisi dell’antifascismo, una crisi profonda, soprattutto politico/partitica, come ha perfettamente scritto Michela Murgia sull’Espresso, criticando l’atteggiamento del Pd e lamentandosi della sua totale assenza in questo genere di discussioni.
Il male è più ampio del solo Pd, il silenzio della politica sulle questione di fondo è ampio, mentre a destra le questioni ideali sono severamente presidiate, vedi l’ampio ricorso alla querela verso i critici. Questa aggressività è un modello europeo, che le destre sovraniste stanno esportando ovunque siano riuscite a prendere il potere, bastonare attraverso lo strumento giudiziario chi non si adegua alle loro vulgate. I ceti intellettuali sono gli ultimi a presidiare questa frontiera, storici, scrittori e alcuni giornalisti sono i pochi rimasti contrastare queste narrazioni prive di sostanza storica e politica.
La potenza politica di Fratelli d’Italia è figlia di questo vuoto lasciato dalla crisi dell’antifascismo, che ha cessato di essere un patrimonio tangibile della politica italiana quale invece dovrebbe essere, ma che non lo è più, non per la sua perdita di senso, ma perché considerato modello troppo rigido da indossare in questi tempi, parafrasando il sociologo Zygmund Bauman, di “politiche liquide”.
Questo situazione schizofrenica è frutto di tutto ciò, ma quello che mi preme sostenere da storico è che non è sufficiente condannare le leggi razziali: le leggi razziali sono si la prima cosa da biasimare, ma non devono essere l’unica, e soprattutto non possono essere la foglia di fico sotto la quale nascondere tutti gli altri limiti del fascismo che in questo modo sono di fatto sdoganati e sono pronti nuovamente all’uso.
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