Non è una novità che la destra italiana e i suoi media di riferimento da Silvio Berlusconi in poi abbiano il vizio di manganellare gli avversari, attraverso campagne di fango, attacchi e delegittimazioni violente. Dai calzini del giudice Raimondo Mesiano alle legnate contro Dino Boffo, fino agli insulti sessisti di Salvini a deputate e intellettuali sgraditi, anche la premier Giorgia Meloni e i suoi hanno mutuato il metodo inventato dal Cavaliere, come dimostrato di recente dall’orrendo comizio finale alla festa di Atreju.

Anche questo giornale è finito – al netto delle querele e delle citazioni civili – al centro di campagne diffamatorie da parte degli esponenti della destra, che a fatica sopportano il controllo che competerebbe nelle democrazie liberali alla libera stampa. Ma con la vicenda che ha investito Nello Trocchia, inviato di Domani, e la compagna Sara Giudice (ex reporter di Piazza Pulita) si è raggiunto un livello di brutalità che ha pochi precedenti, e che – analizzato ex post – esemplifica bene il sistema attraverso cui la destra e i suoi cantori provano a demolire coloro che considerano “nemici politici”, da abbattere in ogni modo.

Il caso, è noto, riguarda la denuncia depositata lo scorso febbraio da una giornalista contro la coppia. L’accusa: presunte molestie sessuali, avvenute per sette minuti all’interno di un taxi, di ritorno da una festa di compleanno e qualche bicchiere. Effusioni e baci che nella ricostruzione della denunciante sarebbero stati estorti. Rapporti invece del tutto consensuali secondo la versione dei due, che sono stati creduti prima dalla procura (la pm ha chiesto l’archiviazione già a luglio 2023) sia dalla gip, una giudice esperta di codice rosso che ha fatto a pezzi la versione accusatoria archiviando il caso.

Fino ad ora Domani non ha mai scritto della vicenda né dato spazio alla difesa di Trocchia per motivi banali: l’evidente conflitto d’interessi (Trocchia è un nostro collega), il rispetto del lavoro della magistratura in merito ad indagini così delicate, e la convinzione che ogni presunta vittima di molestie e violenza deve essere creduta fino a prova o sentenza contraria: i nostri lettori sanno che la lotta contro la vittimizzazione secondaria per noi non è negoziabile, chiunque sia l’accusato.

Al netto delle motivazioni che hanno portato la denunciante a formulare accuse considerate non credibili dalla magistratura, una vicenda privatissima e dolorosa è stata strumentalizzata per colpire due cronisti scomodi, e a infamare (indirettamente) due media non allineati come Domani e Piazza Pulita.

L’operazione è stata portata avanti da giornali e programmi televisivi al soldo della maggioranza e di Palazzo Chigi, da parlamentari di Fratelli d’Italia e da ministri che si autoproclamano “garantisti”, che hanno cavalcato un’accusa turpe per dare una lezione a chi osa disturbare il manovratore.

L’olio di ricino è stato propalato per prima da La Verità, che ha spacciato a fine agosto una richiesta di archiviazione per uno scoop. I baci vengono riassunti nel titolo infame “Stupro di gruppo, bufera a La 7 e Domani”. L’articolista elenca nell’incipit dell’articolo quello che appare come il vero motivo della pubblicazione: le inchieste di Domani a firma Trocchia sulla ministra Santanchè, sul sottosegretario leghista Claudio Durigon e sul falso complotto su Arianna Meloni, inventato di sana pianta dal Giornale di proprietà (come il Tempo e Libero, che subito hanno rilanciato le accuse della denunciante) del deputato leghista Antonio Angelucci. Proprio Domani due anni fa scoprì che il politico-editore è stato recordman di capitali detenuti all’estero, circa 190 milioni di euro conservati nel paradiso fiscale del Lussemburgo.

Il sistema prevede che, gettato l’osso, i cani lo rincorrano. Stavolta lo fanno quasi tutti: non solo i meloniani alla Nicola Porro o Giuseppe Cruciani, ma anche i siti dei grandi giornali copia-incollano le infamie. Senza leggere le carte giudiziarie, senza verificare la notizia con i diretti interessati. L’operazione si disvela nella sua natura “politica” pochi giorni dopo quando, sulle sventure di due cronisti (non certo due potenti o avversari dell’opposizione) cominciano a banchettare esponenti di primo livello della destra: tra questi Giovanni Donzelli, capo dell’organizzazione di FdI, che mentre provava a difendere il ministro Gennaro Sangiuliano che aveva tentato di piazzare la sua amante («è solo gossip», sosteneva prima delle dimissioni inevitabili), dileggiava Trocchia come «possibile sottosegretario al ministero per la Promozione della virtù». Lo zenit arriva però con il ministro della Giustizia Carlo Nordio, responsabile delle peggiori carceri europee (record di suicidi nel 2024, ben 87) che pressato da un’interrogazione di sette senatori di FdI che attaccavano la procura rea di aver chiesto l’archiviazione di Trocchia e Giudice, chiedeva una relazione urgente ai magistrati romani, rei di non aver sentito direttamente la denunciante entro tre giorni. Peccato che le norme del Codice rosso, come scrive la gip nella sentenza, prevedano che il pm possa «derogare all’obbligo previsto quando sussistano imprescindibili esigenze di riservatezza delle indagini», come accaduto in questo caso.

La character assassination non è riuscita. Ma la violenza della manovra fa capire al livello infimo che pezzi dell’attuale destra di governo sono disposti a raggiungere per distruggere chi non è prono ai nuovi potenti. Un’evidenza che dovrebbe preoccupare chiunque abbia a cuore il giornalismo e il libero diritto di critica.

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