La studiosa dell’università di Harvard ha analizzato 200 anni di storia del mercato del lavoro. Nel 2021 ha pubblicato il libro “Career and Family” sulla penalizzazione della donna nelle aziende, in particolare nei cosiddetti “Greedy works”, i lavori avidi di tempo che richiedono disponibilità e impegno continuo
Non mi commuovo facilmente, ma alcune cose mi emozionano sul serio. Per esempio mi emoziona una persona che analizza più di duecento anni di storia del mercato del lavoro femminile, e lo fa con grande fatica investigativa. Il suo obiettivo è capire le disuguaglianze di genere e le cornici economiche e culturali dentro le quali le disuguaglianze si perpetuano, nonostante i miglioramenti reali e apparenti.
Sto parlando di Claudia Goldin, la professoressa di Harvard che ha ricevuto il Nobel per l’Economia. Un riconoscimento ai suoi studi sui fattori chiave delle differenze di genere nel mondo del lavoro. È la terza donna a ricevere il premio, e la prima a riceverlo da sola.
Sappiamo che ancora oggi, a livello globale, la partecipazione femminile al mercato del lavoro è inferiore rispetto a quella maschile, sappiamo che esistono le differenze salariali e che in molti casi perdura il soffitto di cristallo. Certo, la situazione è migliore nei paesi avanzati, tant’è vero che pigramente si potrebbe concludere che la crescita economica porta alla risoluzione delle suddette differenze (o “gap” che dir si voglia). Eppure abbiamo la sensazione di vivere, da un po’ di tempo, in una nuova situazione di stallo.
Gli studi di Goldin, che sono anzitutto analisi storiche complesse di lunghissimo periodo, ci raccontano che la realtà è meno banale di una correlazione lineare fra crescita e maggiore uguaglianza, e che il futuro, dunque, non è mai una costruzione scontata. Anzi, le relazioni fra sviluppo e chiusura dei gap nel corso della storia non sono per niente lineari, la tempistica delle evoluzioni è lenta, e le rivoluzioni saltuarie. Spesso i cambiamenti più significativi avvengono non tanto in seguito alla mera crescita economica, ma grazie a modificazioni della struttura del mercato del lavoro (agricolo, industriale, dei servizi), a cambiamenti della cultura (barriere, pregiudizi) e dell’accesso all’istruzione. Avvengono anche grazie a fattori meno ovvi, come le innovazioni mediche: la pillola anticoncezionale che ha permesso alle donne di avere il controllo della propria fertilità.
Le analisi storiche sono complesse, non solo perché lo sono sempre, in qualsiasi campo, ma anche perché nel caso specifico mancano molti dati sul lavoro femminile. Le donne, non ci sorprende, spesso non esistono nelle rilevazioni storiche, o esistono meno, sono un essere di secondaria importanza. Qui Goldin qui si è dovuta trasformare in una detective e in una fine analista in grado di ricostruire i dati in maniera indiretta e attendibile. L’obiettivo, lo ha detto lei stessa, è stato quello di capire il problema e chiamarlo con il suo nome.
Un concetto esemplificativo è quello di disuguaglianza di coppia, che nella coppia eterosessuale si traduce poi in disuguaglianza di genere. Un uomo e una donna scelgono la carriera, il lavoro, ma scelgono anche quanto tempo ciascuno di loro dedicherà alla famiglia, ai bambini, alla cura. Ancora oggi, un soggetto (di solito la donna) sceglierà un lavoro più flessibile, che permette di essere disponibile per la famiglia nei casi di emergenza, ma che permette anche meno possibilità di avanzamento. La flessibilità ha un prezzo.
Alla base di tutto c’è il problema del tempo: il problema più esigente. Le ore sono ventiquattro per tutti, e spesso le donne si trovano a scegliere professioni con orari adatti alla famiglia. Esistono, lo sappiamo, i lavori “avidi di tempo”, quelli che richiedono la nostra disponibilità assoluta, e in cambio ci promettono il successo o una sua approssimazione.
C’è poi la questione dell’orologio biologico, che si scontra con l’orologio della crescita professionale. Oggi un percorso professionale giunge a relativo compimento ben dopo i trent’anni, quando la fertilità femminile a sua volta inizia a ridursi. Goldin stessa dice che quand’era ragazza la carriera giungeva a compimento un po’ prima, e questo spiega come una donna nata negli anni Quaranta, come lei, abbia vissuto in un’epoca forse migliore da questo specifico punto di vista.
Se la flessibilità costa in termini di minor stipendio e possibilità, la cura dei figli (asili, babysitter) costa, sia in senso proprio, sia come costo opportunità (rinunciare al lavoro). Su questi due fattori la società potrebbe intervenire per velocizzare la chiusura dei gap. C’è poi un terzo fattore, ed è la condivisione del problema: in una coppia, entrambi possono condividere gli aspetti legati alla famiglia, e rinunciare a qualcosa, perché tengono allo sviluppo dell’altro come individuo.
C’è ancora molto da fare, in senso pratico e culturale. Ma il premio a Goldin è un’ottima notizia.
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