Mentre si attende che la Commissione europea si pronunci sulla norma che proibisce l’uso della carne coltivata, c’è un divieto ulteriore, contenuto nella medesima legge, che rischia di essere spazzato via dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CgUe). Si tratta del divieto di usare denominazioni riferite alla carne o a prodotti a base di carne per alimenti a base vegetale (meat sounding), che entro metà febbraio sarà attuato da un decreto del ministro della sovranità alimentare.
La CgUe, pronunciandosi su una legge francese analoga a quella italiana, stabilirà se questi divieti siano compatibili con la disciplina dell’Unione.
Gli intenti (infondati) delle norme italiane
L’intento dichiarato delle norme italiane sul divieto di meat sounding è, da un lato, quello di «tutelare le produzioni zootecniche del nostro Paese da coloro che vogliono offrire alternative di consumo»; dall’altro, quello di «evitare che i consumatori possano essere tratti in errore».
Quanto al primo profilo, il governo non ha spiegato come l’uso, per alimenti a base vegetale, di denominazioni che richiamano la carne metterebbe in pericolo i prodotti del settore zootecnico e perché questi ultimi necessiterebbero di protezione. Il divieto potrebbe distorcere una legittima competizione, e addirittura costituire aiuto di stato (come rilevato dall’associazione Eurogroup for Animals).
Circa il secondo profilo, si dubita che gioverebbe alla chiarezza sostituire denominazioni entrate nell’uso comune, come “hamburger vegetale” o “polpette di soia”, con altre di fantasia. Inoltre, come sottolineato dalla CgUe in una sentenza del 2022, il “consumatore medio” è «normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto»; e, quando effettua un acquisto basato sulla composizione dell’alimento, legge «prima l’elenco degli ingredienti, obbligatoriamente menzionati a norma del regolamento europeo sull’etichettatura», quindi sa distinguere un hamburger di carne da uno vegano.
Tra l’altro, il divieto di meat sounding dovrebbe riguardare solo i prodotti del Paese che lo impone, e non quelli provenienti da altri Stati dell’Unione, per non creare ostacoli alla libera circolazione nel mercato interno dell’Ue. Ma nella legge italiana, al contrario di quella francese, non si precisa la limitazione ai soli prodotti nazionali.
La Corte di giustizia dell’Ue
A seguito di un ricorso riguardante il decreto con cui la Francia ha vietato l’uso di denominazioni associate a prodotti di origine animale per alimenti contenenti proteine vegetali, il Consiglio di Stato francese ha chiesto alla CgUe una pronuncia pregiudiziale sulla compatibilità di tali norme con quelle europee in tema di etichettatura degli alimenti.
La Corte, la cui decisione pare sia imminente, dovrà valutare se tale disciplina europea precluda a uno Stato membro di introdurre regole ulteriori, come il divieto di meat sounding, e se tale divieto sia comunque proporzionato al fine che si vuole conseguire.
Il rinvio pregiudiziale alla CgUe è lo strumento cui il giudice nazionale ricorre quando non riesce a raggiungere un convincimento circa la conformità di una disposizione interna al diritto dell’Unione. La decisione della Corte vincola non solo il giudice che ha rivolto l’istanza, ma anche ogni altro giudice di uno Stato membro che affronti medesime questioni. Per questo motivo la pronuncia potrebbe travolgere anche la legge italiana.
L’Ue e il meat sounding
Nel 2017 la CgUe, nel decidere che prodotti vegetali non possono essere commercializzati con denominazioni come «latte», «formaggio» e altre «che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale», aveva escluso che le medesime restrizioni si applicassero alle denominazioni di alimenti vegetariani o vegani sostitutivi della carne o del pesce.
Nel 2020 anche la Commissione Ue si è espressa sul meat sounding, in risposta a un'interrogazione di europarlamentari della Lega, affermando che l’attuale quadro giuridico dell’Ue già fornisce «una solida base per garantire che i consumatori siano adeguatamente informati» e «consentire loro di operare una distinzione tra “carne” e “prodotti a base di carne” e “prodotti di origine vegetale”». Sempre nel 2020 il Parlamento europeo ha respinto emendamenti che chiedevano di riservare denominazioni legate alla carne esclusivamente alle parti commestibili di animali, vietandole solo per i prodotti a base vegetale.
Se Francesco Lollobrigida avesse aspettato la pronuncia della CgUe, per evitare un’eventuale retromarcia sulla sua legge, sarebbe stato meglio. Per l’immagine dell’Italia, prima di tutto.
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