- Il centenario del Pci ha provocato un dibattito, molte riedizioni, articoli e pubblicazioni sulla storia del partito, il tutto circondato da una certa nostalgia.
- Senza indulgere in nostalgie passatiste, si deve riconoscere che con la fine del Pci e del blocco comunista è andata incrinandosi un’idea di cambiamento e di vita come lotta.
- Il messaggio profondo di quella che pretese di essere una forma di civiltà, era che con la rivoluzione e il sacrificio di sé si potesse cambiare tutto. Il suo esaurimento, anzi la sua negazione, appare oggi a molti come la dimostrazione che il mondo non si può cambiare.
Il centenario del Pci ha provocato un dibattito, molte riedizioni, articoli e pubblicazioni sulla storia del partito, il tutto circondato da una certa nostalgia. Oggi che il Pci non c’è più e che il comunismo sembra scomparso (salvo poche eccezioni) in molti sentono come se mancasse qualcosa. Anche il periodo delle ideologie non era scevro di vere emozioni e passioni: il comunismo e la rivoluzione sono stati una passione per numerose generazioni, e lasciano un vuoto.
Come sappiamo il vuoto si riempie sempre, ma di cosa? Oltre lo stesso Pci e al di là delle questioni politiche o del dibattito interno alle sinistre europee e della geopolitica stessa, la caduta dell’Urss (e assieme a essa quella del sogno rivoluzionario), ha lasciato un vuoto umano che ha riguardato (e riguarda ancora in modi diversi) oltre il miliardo di uomini e donne.
Svetlana Aleksievitch, la scrittrice bielorussa premio Nobel per la Letteratura 2015, lo descrive bene nei suoi libri: lo choc di risvegliarsi davanti a ciò che non può che considerarsi un tragico fallimento. A un certo punto quello in cui si è creduto, malgrado le sue innumerevoli versioni, è stato annunciato come falso in radice: un errore totale. All’inizio degli anni Novanta il trauma è stato forte: un secolo per niente, buttato via. Intere vite dedicate alla rivoluzione, al cambiamento, alla riforma del sistema, assieme a sforzi, pensiero, sacrifici fino al sangue...tutto inutile, tutto sbagliato. Eppure il comunismo ha avuto un’influenza profonda che andava ben oltre in suoi confini, riguardava anche i suoi avversari. La stessa Urss era diventata credibile grazie alle enormi sofferenze patite dai russi.
Nel secondo dopoguerra Simone de Beauvoir scriveva: «Nessuna riserva turbava la simpatia che avevamo per l’Urss; i sacrifici del popolo russo avevano dimostrato che i dirigenti esprimevano la sua volontà». Era un’illusione e la caduta di quell’universo è stato prima di tutto un dramma umano. Qual è stato l’impatto dirompente che ciò ha generato nel cuore e nelle menti di milioni di uomini e di donne, in Italia, in Europa e nel mondo? Questa “fine di un mondo” ha pesato sul modo di ragionare successivo, sulla percezione della realtà. Senza indulgere in nostalgie passatiste, si deve riconoscere che con la fine del Pci e del blocco comunista è andata incrinandosi un’idea di cambiamento e di vita come lotta. Il messaggio profondo di quella che pretese di essere una forma di civiltà, era che con la rivoluzione e il sacrificio di sé si potesse cambiare tutto. Il suo esaurimento, anzi la sua negazione, appare oggi a molti come la dimostrazione che il mondo non si può cambiare.
Gli errori
Il comunismo ha sbagliato, ha disumanizzato l’uomo, ha conculcato le libertà fino al punto di divenire una macchina di morte per i suoi stessi affiliati. Non se ne può né se ne deve avere nessun rimpianto. Tuttavia va detto che quel sistema portava in sé anche l’idea della rivoluzione sociale, del rinnovamento universale, della grandezza morale della vita come lotta: un’utopia forse ma anche un sogno. Con il suo dissolvimento è venuta meno l’incarnazione possibile di tale sogno.
Il comunismo – e anche il Pci italiano con i suoi tentativi di distinguersi – se ne era appropriato indegnamente e surrettiziamente, certo, l’aveva trasformata nella convinzione che solo con la violenza e la coercizione sociale si potesse ottenere qualcosa. Resta il fatto che uno dei grandi problemi dell’uomo di oggi è proprio quello di non credere al cambiamento possibile, al futuro migliore, a un domani totalmente nuovo, al sacrificio di sé per un oltre. E di credere poco alla fondamentale uguaglianza del genere umano, che ne evochi l’unità. La fine del mondo comunista è stata una forma di secolarizzazione globale e, assieme a essa, la cancellazione di un pungolo. Se nella globalizzazione ci si nutre di emozioni, anche il tempo delle ideologie ne visse numerose. Il bipolarismo della guerra fredda fu un momento di “globalizzazioni contrapposte”: due sistemi si sono combattuti con opposte visioni globali del mondo. In quel contesto anche il comunismo è stato una forma di globalizzazione politica e culturale che ha creato una vera passione per centinaia di milioni di uomini e di donne del suo tempo.
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