Con una Polaroid si può scattare un’istantanea. Ma non si può raccontare una guerra. Eppure è quello che si sta provando a fare per giustificare l’annientamento di Gaza. Duecento trucidati del rave di Re’Im. Clic. Donna israeliana crivellata nel letto. Clic. Bimbo carbonizzato nel kibbutz di Kfar Aza. Bimbo in braccio al terrorista di Hamas. Ragazza trascinata via su un pick up. Clic. Clic. Clic.
Che la lezione dell’orrore nazi-jihadista di Isis abbia penetrato questo mostruoso Hamas 2.0 è evidente a chiunque abbia occhi e anima. Ma l’equiparazione con Daesh non basta. E nemmeno il fermo immagine.
Il resto dov’è? Intendo i bordi, il perimetro, lo sfondo. Possiamo raccontare l’orrore solo per quel che è, un orrore senza storia? Possiamo mettere sangue su sangue, accatastare innocenti su innocenti senza una prospettiva storica o almeno uno sguardo laterale?
Il contesto
La violenza, il terrore di questi giorni segnano un punto di non ritorno, l’umiliazione del diritto internazionale. Quanto dilagherà il conflitto se l’unica democrazia del Medio Oriente non riesce a trovare una misura nella ritorsione, una mitigazione della rabbia?
Abbiamo speso giorni a capire se i piccoli massacrati in Israele dagli squadroni della morte siano stati sgozzati oppure accoltellati e bruciati. Perché? Cosa cambia se un bambino viene mutilato da una bomba o tagliato da un machete? Esiste una classifica della macelleria bellica? Polaroid: ricordatevi questa strage, non provate a giustificarla.
Così, nel panorama un po’ smarrito di un’informazione non avvezza a trattare i fatti internazionali (e figuriamoci la vetusta questione palestinese), basta una Basile qualunque, ultimo esempio di tele-narcisismo precoce, poco dialogante ma non così fuori dal mondo, a far gridare allo scandalo.
Eppure raccontare il contesto – parola per la quale ormai puoi essere tacciato di ignominia – è cruciale. Come lo è distinguere le radici politiche profonde di Hamas dal Frankenstein postmoderno di Daesh.
La questione dimenticata
Fino al sabato della strage, di Gaza non parlava più nessuno. Una gabbia di persone inferocite e spaventate dalla fame e dalle bombe che incubavano odio a pochi metri dall’ordinato benessere israeliano. E accettavano l’oppressione interna di Hamas come tragedia minore, non certo per simpatia.
Ma per l’Europa e per Washington, uno stato palestinese era faccenda morta e sepolta. In dieci anni siamo passati da “due popoli due stati” alla negazione reciproca di un’identità nazionale. L’ambasciata Usa spostata a Gerusalemme da Trump. Netanyahu che si bullava con le cancellerie del mondo della repressione e della negazione di ogni futuro stato di Palestina.
I nuovi insediamenti dei coloni protetti dall’artiglieria di Tsahal. La moschea d’oro di Al Aqsa a Gerusalemme occupata dai militari: per molto meno – la passeggiata sulla spianata di Ariel Sharon – scoppiò la seconda Intifada.
Eppure di Israele, sui giornali e nei tg, si parlava esclusivamente per la riforma autoritaria della giustizia. Per un conflitto tutto interno ai confini del potere egemone. Come se milioni di uomini, donne e bambini privi da sempre del diritto all’autodeterminazione fossero questione secondaria e perfino un po’ noiosa.
Come moriranno
Intanto Hamas dilagava nei consensi e costruiva una nuova, potente architettura bellica. Gli anni di Isis hanno lasciato un’altra pesante eredità: la professionalizzazione del jihadismo. Nel mezzo di questa spaventosa corsa alla negazione dell’altro – due popoli, nessuno stato – restano stritolati milioni di innocenti da ambo le parti.
E a Gaza, la rabbia israeliana spiana una città, sospinge masse di famiglie verso una fuga mortale, uccide migliaia e migliaia di civili. In dispregio di qualunque convenzione internazionale. I bambini sono il 40 per cento della popolazione della Striscia. Non sappiamo esattamente come moriranno, se di fucile, di bomba, di fame o di malattia. Non ci importa.
Perché le lacrime le abbiamo già spese tutte per i piccoli massacrati nei kibbutz. L’indignazione dell’occidente è colma. E il rullino della Polaroid ha esaurito i suoi scatti.
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