Il 14 novembre scade il mandato dell'attuale comandante generale Teo Luzi. E – con scarso senso di responsabilità istituzionale - non c'è ancora un accordo nell'esecutivo sul successore. Tra Crosetto e Meloni è in corso uno scontro sul nome. Il passo in avanti del ministro, che ha rotto gli indugi in vista del Consiglio dei ministri di martedì. A Palazzo Chigi non hanno preso bene la mossa: ora la premier dovrà fare una scelta
Dentro i vertici del governo c'è una lotta intestina, di cui Domani ha già dato conto, che si sta combattendo sulla pelle di una delle istituzioni della Repubblica, l'Arma dei Carabinieri. Uno scontro durissimo tra il ministro della Difesa Guido Crosetto, da un lato, e la coppia formata dalla premier Giorgia Meloni e il suo braccio destro Alfredo Mantovano dall'altro, che rischia presto di trasformarsi un caso politico affatto banale. E che può terremotare i rapporti - già tesi - tra il Gigante e la Bambina, come gli amici chiamano i due fondatori di Fratelli d'Italia.
La questione è nota: il 14 novembre scade il mandato dell'attuale comandante generale Teo Luzi. E – con scarso senso di responsabilità istituzionale, come già accaduto nel 2023 per il vertice della Guardia di Finanza - non c'è ancora un accordo nell'esecutivo sul nome del successore.
Crosetto vuole promuovere “senza se e senza ma” Salvatore Luongo, attuale vice comandante e generale con un lungo curriculum di servitore dello stato (è stato a capo del legislativo con i ministri della Difesa di Pd e M5s Roberta Pinotti, Elisabetta Trenta e Lorenzo Guerini), mentre Meloni – su suggerimento di Mantovano e dell'altro sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, preferirebbe il generale Mario Cinque, altro eccellente ufficiale da tre anni capo di stato maggiore.
In subordine, la premier sceglierebbe quello che da molti è considerato il terzo incomodo nella tenzone, il comandante dell'interregionale “Pastrengo” Riccardo Galletta.
Meloni e Crosetto sono ai ferri corti, e non mollano le rispettive posizioni. Seppure non è chiaro – essendo tutti i tre candidati generali stimati – le reali cause di un braccio di ferro che sta allarmando anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sgomento dai ritardi dell'esecutivo e dai veleni che condizionano a cascata la vita di un corpo dello Stato che dovrebbe essere messo al riparo dalle tensioni politiche.
Risulta a chi scrive che Crosetto – stanco di non avere risposte sul dossier – abbia rotto gli indugi in vista dell'ultimo Consiglio dei ministri utile a deliberare la nomina prima dell'uscita di Luzi (il cdm è previsto martedì mattina). Gli uffici di Mantovano hanno così ricevuto venerdì scorso la lettera di Crosetto con l'indicazione di Luongo: per legge è infatti il ministro della Difesa a proporre il nome del nuovo comandante, sentito il Capo di stato maggiore della difesa. Quest'ultimo è Luciano Portolano, che ha già dato il suo ok a Luongo.
A Palazzo Chigi non hanno preso bene la mossa di Crosetto, considerandolo una sorta di forzatura. Il dado però è ormai tratto: martedì mattina o Meloni si piega e accetta il candidato del ministro, oppure prende altro tempo imponendo al cdm una fumata nera sulla nomina. In questo caso le conseguenze potrebbero essere pesanti: Crosetto ha già dato la sua parola a Luongo e non intende fare retromarce.
Come avvenuto invece mesi fa sui vertici di Gdf e Aisi, quando i suoi preferiti (rispettivamente Umberto Sirico e Giuseppe Del Deo) hanno perso la corsa. La premier, lo sappiamo, però non ama alcuna costrizione, e potrebbe decidere comunque di ufficializzare la crisi strisciante con uno dei suoi fedelissimi, con il quale ha un rapporto profondo ma sempre più complicato.
Tanto che da Palazzo Chigi spiegano che «il vero nodo» sarebbe non «la figura, stimabilissima, di Luongo», ma proprio il fatto che il generale sia visto come «troppo vicino a Crosetto». Il quale non ha più la stessa fiducia di Meloni e Mantovano rispetto a prima.
Ma cosa è successo? I motivi sono plurimi. In primis la premier e i due sottosegretari non tollerano l'autonomia con cui da sempre si muove il ministro, pure mal sopportato dalla base di FdI che lo considera (da ex democristiano e forzista) assai lontano dalla cultura ex missina. Meloni non apprezza dell'amico nemmeno i rapporti che intrattiene con soggetti come Luigi Bisignani (i due si incontrano spesso negli uffici della Difesa) o con l'imprenditore Carmine Saladino, nella cui casa vive il ministro.
La situazione si è diventata più tesa anche per colpa (indiretta) del nostro giornale: quando mesi fa abbiamo raccontato del tentativo della moglie di Crosetto di entrare all'Aise, il ministro ha deciso di chiamare il capo della procura di Perugia Raffaele Cantone, rilasciando un verbale nel quale ha attaccato i vertici dei nostri servizi di intelligence. Un blitz che Mantovano e la stessa Meloni hanno considerato “sconsiderato”.
Detto questo, il governo – se nemmeno domani non trovasse la quadra – si assumerebbe la responsabilità di tenere ancora a bagnomaria l'intera Arma dei carabinieri. Che da mesi (e mentre gestisce deleghe di inchieste politicamente sensibili come il presunto dossieraggio di Milano, quello di Bari e la vicenda dell'ex ministro Gennaro Sangiuliano) è in fibrillazione a causa delle indecisioni della destra.
L'uscente Luzi ha già invitato autorità e giornalisti venerdì 15 novembre per la cerimonia di avvicendamento della carica di comandante generale: se il cdm non nominerà il successore, sarà proprio Luongo a prendere l'interim. A quel punto, spiegano gli uomini di Crosetto, Meloni avrà non poche difficoltà a non confermarlo.
La strada è stretta. Speriamo che al prevalga il senso delle istituzioni e non la nuova guerra nel governo.
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