- Tra le misure necessarie all’attuazione del Pnrr indicate dall’Italia all’Europa c’è la riforma della disciplina dei contratti pubblici.
- Il nuovo codice dei contratti promette semplificazione e rapidità, ma è davvero così?
- Tra l’articolato e i suoi allegati si superano i 550 articoli, solo poco meno del complesso normativo più folto del recente passato e solo in parte si modifica il Codice vigente.
Tra le misure necessarie all’attuazione del Pnrr indicate dall’Italia all’Europa c’è la riforma della disciplina dei contratti pubblici. “Semplificazione”, “riordino” e “razionalizzazione” sono le parole-obiettivo contenute nella legge delega 78 del 2022, che hanno guidato la commissione del Consiglio di Stato nella redazione del nuovo Codice, approvato in via preliminare il 16 dicembre e ora all’esame del parlamento.
Dal primo punto di vista, il nuovo Codice sembra aver abbastanza soddisfatto il suo compito, e in questo si vede la mano esperta della Commissione.
Però tra l’articolato e i suoi allegati si superano i 550 articoli, solo poco meno del complesso normativo più folto del recente passato (codice del 2006 più regolamento del 2010) e solo in parte si modifica il codice vigente.
Il vantaggio consiste nel fatto che i protagonisti del mercato dei contratti pubblici (funzionari amministrativi e operatori economici) agiranno sulla base di un testo unitario che acquista efficacia in una data unica (il 1° luglio 2023, salvo proroghe), senza rinvio ad una miriade di testi applicativi quali decreti ministeriali e linee guida Anca (come per il secondo codice, quello del 2016).
I nuovi rischi
Nondimeno, la nuova conformazione del Codice un rischio lo presenta: la disciplina contenuta negli allegati, più facilmente aggiornabile (sono norme regolamentari), potrebbe spingere alla loro modifica con successivi interventi correttivi (o, peggio, derogatori), anzi già preannunciati dal testo approvato, riportando il settore a quella instabilità normativa che è universalmente considerato uno dei principali fattori di crisi della materia.
Poiché si tratta sempre di una nuova disciplina molto corposa, essenziale diviene il fattore “tempo”, un periodo transitorio che permetta ad amministrazioni e imprese di impadronirsi delle nuove norme e di attuarle efficacemente, senza cadere nel drammatico errore commesso dal governo in carica nel 2016 (l’immediata entrata in vigore del Codice).
Questo impatta limitatamente sulla realizzazione del Pnrr, considerato che è previsto che per quegli interventi continui ad applicarsi il decreto semplificazioni del 2021.
Ma il nuovo Codice contiene la disciplina a regime per il settore, e in tale prospettiva agisce anche per rassicurare la Ue sull’abbandono della stravagante idea della istituzionalizzazione del “modello Genova” (o su temi controversi con le istituzioni europee, come il subappalto).
Mentre presumibilmente per tutto il 2023 continuerà ad applicarsi a tutto campo il regime attuale dei contratti pubblici, denso di norme ad hoc, norme transitorie, derogatorie e sospese che hanno sfigurato il Codice del 2016 (e in questa direzione potrebbe andare il decreto legge che introdurrà ulteriori semplificazioni per il Pnrr). Occorre chiedersi quanto tutto questo sia sostenibile per la stessa Commissione Ue, che è chiamata a bilanciare l’interesse all’attuazione del Pnrr e l’interesse con l’uniforme applicazione delle regole fondamentali del diritto europeo dei contratti pubblici.
La ridotta utilizzazione del nuovo codice per il Pnrr, se di certo contraddice l’urgenza della sua formulazione, almeno consente di ragionare sul merito delle sue scelte, visto che si tratta di un testo destinato a regolare la materia per un lungo periodo.
Perché, allora, non risolvere le principali criticità che nella versione attuale sono presenti e che spesso sono l’esito della logica emergenziale che ha guidato la regolazione negli ultimi anni?
Un elenco pure approssimativo non è banale: l’incertezza sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, a sua volta collegata con la soglia per gli affidamenti diretti; eccesso di ricorso alla procedura negoziata e riduzione delle gare, con connesso rischio di compressione dello spazio effettivamente aperto al protagonismo delle Pmi; estensione quasi senza limiti dello strumento dell’appalto integrato, con i connessi rischi di scarsa qualità del progetto e di incremento dei costi complessivi; definizione e valutazione dell’illecito professionale del concorrente e (debole) ri-valorizzazione del rating d’impresa, pure rilevante sotto il profilo reputazionale; riduzione delle garanzie contro i conflitti di interesse e rimozione del tetto al prezzo nella valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quale criterio fondamentale di aggiudicazione nella prospettiva del risultato, che pure è posta come principio fondamentale dallo stesso nuovo Codice.
Tutte materie che riconducono ai temi centrali della trasparenza e dell’efficienza del mercato, sui quali sarà imprescindibile una puntuale verifica della compatibilità, tutt’altro che assicurata, con i principi e gli indirizzi di sistema dell’ordinamento europeo.
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