- Il municipio di Ostia è stato sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2015 ed è stato commissariato fino alle elezioni dello scorso ottobre.
- Il nuovo mini sindaco Mario Falconi, eletto a ottobre fra le liste del centro sinistra, qualche giorno fa ha voluto tre assessori legati alla giunta di Andrea Tassone, quella “chiusa” per i suoi rapporti con i clan.
- È un segnale evidente di quale sia la tendenza del governo comunale appena insediato, di quali idee abbia per questo sterminato pezzo di Roma che con i suoi duecentocinquantamila abitanti (gli stessi di Verona) è fra le prime dieci città italiane.
Il Pd ad Ostia è prepotente e resistente come quel lungomuro di cemento che non fa vedere mai il mare. È arrendevole con il “partito” dei balneari e ostile con i suoi militanti che si oppongono agli interessi fuorilegge dei padroni dei lidi. È protervo, sfacciatamente squilibrato verso un passato che sembrava lontano.
Quella che alcune cronache locali hanno banalmente presentato come una faida interna al Pd di Ostia, in realtà è una battaglia che si è scatenata per la nomina in giunta di personaggi che appartenevano alla nomenclatura del decimo municipio capitolino quando c’era – e si poteva ancora dire – “mafia capitale”.
A Ostia sono tornate le vecchie facce. Dopo lo scioglimento per infiltrazione avvenuto nel 2015, dopo il lungo e tormentato commissariamento, il nuovo mini sindaco Mario Falconi – eletto a ottobre fra le liste del centro sinistra – con un vero e proprio golpe, qualche giorno fa ha voluto tre assessori legati alla giunta di Andrea Tassone, quella “chiusa” per i suoi rapporti con i clan.
Come se fosse la cosa più naturale da fare, come se contasse niente la contiguità di quell’amministrazione agli ambienti criminali. È un segnale evidente di quale sia la tendenza del governo comunale appena insediato, di quali idee abbia per questo sterminato pezzo di Roma a ventotto chilometri dal Colosseo che con i suoi duecentocinquantamila abitanti (gli stessi di Verona) è fra le prime dieci città italiane. Nessuna discontinuità con gli anni “felicissimi” di Ostia nelle mani delle consorterie, nessun cambio di marcia sul mare che è e deve restare mare privato.
È una piena restaurazione. Gira e rigira, nel decimo municipio comandano sempre loro. La decisione del mini sindaco ha spiazzato molti e sollevato proteste dalla base del Pd, qualcuno dei Giovani democratici si è incatenato davanti al municipio, qualcun altro ieri è andato alla sede del Nazareno per chiedere un incontro con il segretario del Pd Enrico Letta.
Una piena restaurazione
Ma, al di là delle logiche di spartizione degli incarichi e del gioco delle correnti, resta il dato sicuro: quei tre personaggi ricatapultati sulla scena politica. Il primo è Antonio Caliendo, assessore ai Lavori pubblici nella giunta Tassone e oggi assessore al Turismo e alle attività produttive, un ruolo chiave per i rapporti con gli stabilimenti balneari. Il secondo è Giuseppe Sesa, capogruppo del Pd con Tassone e adesso assessore al Bilancio e alle politiche abitative. Il terzo è Eugenio Bellomo, capogruppo di Sel prima e ora assessore ai Lavori pubblici e al patrimonio.
Nessuno dei tre, è giusto ricordarlo, è stato mai coinvolto nei fatti che hanno portato allo scioglimento per mafia del municipio ma, sicuramente, sarebbe stato più opportuno scegliere altrimenti.
Anche perché in quella giunta – il mini sindaco Tassone è stato condannato a cinque anni di carcere in primo grado e in appello – nessuno ha dimostrato particolari capacità di contrapporsi alle convenienze della potente lobby dei signori della costa. Così, senza tante manovre nelle retrovie né troppi mascheramenti, la banlieue romana ripropone sé stessa: quella del mare negato, delle barriere, delle sue casbe, degli stabilimenti che si sono allargati per due o anche tre volte, delle recinzioni alte quattro metri, delle cabine trasformate in residence, dei chioschi convertiti in mega ristoranti.
L’impotenza della legge
Dodici erano i varchi sulla spiaggia che, al tempo del sindaco Ignazio Marino, l’assessore alla Legalità Alfonso Sabella aveva fatto aprire con le ruspe. E dodici sono i varchi che hanno rinchiuso subito dopo che Marino e Sabella se ne sono andati. Nonostante le sentenze del Consiglio di stato a sfavore dei balneari, nonostante gli abusi edilizi accertati. Tutto come prima.
Un impasto di calcestruzzo e di impunità, un gigantesco corpo del reato che testimonia l’impotenza della legge. In questa vecchia-nuova Ostia manca all’appello solo la mafia. Quella più pidocchiosa degli Spada e quell’altra più tradizionale dei Fasciani. Scomparsi dai radar pure i Triassi, eredi dell’aristocrazia criminale siciliana dei Caruana e Cuntrera.
La repressione poliziesca-giudiziaria non ha dato loro respiro, hanno preso mazzate, molti sono in carcere e quelli fuori faticano a riorganizzarsi. Anche alle elezioni di ottobre non si sono fatti sentire – dicono i conoscitori del luogo – se non per qualche timida indicazione di preferenza. La mafia a Ostia è in ritirata e il “partito” dei balneari è più forte che mai. Naturalmente è solo una coincidenza.
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