Nelle stesse ore in cui il Parlamento europeo votava la risoluzione di sostegno all’Ucraina, compreso l’uso delle armi contro «obiettivi militari legittimi» in Russia, al Senato e alla Camera, grazie alla bella iniziativa della fondazione istituto piemontese Antonio Gramsci, si svolgeva una giornata di studi su Claudio Napoleoni, economista, docente universitario e politico (fu deputato e capogruppo della Sinistra indipendente alla Camera nel 1976 e poi senatore fino alla sua scomparsa prematura, il 31 luglio 1988, a 64 anni). C’erano, tra gli altri, Giuseppe De Rita, Fausto Bertinotti, Gianni Cuperlo, Laura Pennacchi.

Napoleoni, personaggio poliedrico, tra le tante cose, aveva diretto all’inizio degli anni Ottanta la rivista mensile Pace e guerra, con Luciana Castellina e Stefano Rodotà, in redazione c’era Paolo Gentiloni, neppure trentenne. Nel numero che Castellina ha mostrato durante il suo intervento spiccavano gli articoli dei principali leader laburisti e socialdemocratici dell’epoca, a partire dallo svedese Olof Palme, il premier misteriosamente ucciso nel 1986, forse l’evento che più anticipa le ombre nere sull’Europa dei nostri tempi. «Il luogo in cui io cerco, come posso, di stare e da cui provo, come posso, a parlare, è la politica, è una dimensione politica», diceva Napoleoni all’inizio degli anni Ottanta a Cortona, con Raniero La Valle.

«Questa forza che ha avuto la politica come luogo in cui stare e da cui parlare, è naturalmente derivata dal fatto che la politica era qui concepita come lo strumento di una liberazione».

Era il momento in cui cultura, editoria e politica erano strettamente intrecciate (non solo nell’area del Pci: la Lega democratica di Scoppola, Gorrieri, Ardigò, Lipari, nella Dc, Mondoperaio per il Psi, Il Mondo e Eugenio Scalfari per i laici).

Nessuna nostalgia per un tempo che non c’è più e che molti di noi non hanno neppure conosciuto (noi che siamo venuti dopo, e dopo di noi «la generazione di quelli che non è mai sufficiente», come l’ha chiamata sull’ Espresso la sindaca di Perugia Vittoria Ferdinandi). Gli intellettuali in politica sono stati sostituiti dai consulenti, che trovano una motivazione tecnica per qualsiasi cosa.

I luoghi editoriali in cui dibattere sono rarissimi. Ma da decenni siamo entrati in un lungo deserto che rende insopportabili le discussioni sui temi più cruciali e delicati. Come quello della pace e della guerra, in cui posizioni misurate sulle virgole e sugli eufemismi delle risoluzioni e delle mozioni parlamentari appaiono terribilmente lontane dalle tragedie a Gaza e ora in Libano, e dal travaglio delle coscienze, della coscienza di ciascuno. Grandi principi vengono sbandierati per coprire piccole manovre di posizionamento, negli schieramenti e nei partiti.

Assenza di idee

Delle divisioni che hanno attraversato i gruppi italiani nel voto del Parlamento europeo sull’Ucraina, nella coalizione di governo e nel Pd, la cui delegazione si è fatta in tre, colpisce non tanto il mosaico dei comportamenti quanto la mancanza di spiegazione. L’assenza di una idea che supporti le scelte politiche, con la loro inevitabile dimensione tattica. Come ha scritto più volte Rino Formica su Domani, serve un progetto di più lungo periodo, l’idea di una Costituzione democratica europea, per uscire dalla poltiglia del quotidiano.

Ma a una politica sganciata dal pensiero, non resta che il settarismo o l’opportunismo, stare comodi nelle proprie convinzioni senza farsi smuovere dalla realtà, oppure inseguire qualsiasi convenienza, due atteggiamenti che spesso convivono, anche nelle stesse persone, negli stessi leader. Le ideologie non servivano più, ma di pragmatismo la sinistra europea e la sinistra italiana sono morte.

A sinistra quella tra pensiero e politica è un’altra ricucitura da compiere, anche questo è un compito che spetta alla nuova generazione che Elly Schlein rappresenta, in forme nuove, diverse dal passato.

A destra invece, dopo tanti proclami sull’egemonia culturale da conquistare, sugli intellettuali di destra esclusi da risarcire, nessun pensiero sostiene le piroette di Giorgia Meloni, contro von der Leyen a inizio estate e con von der Leyen a inizio autunno in cambio di una vice-presidenza per Raffaele Fitto, e nessun pensiero d’altra parte le viene richiesto dall’elettorato, dai fogli dei tifosi o dai tanti opinionisti liberal dediti ad abbellirne le contraddizioni. Né d’altra parte qualcuno richiede spiegazioni dell’agire alla stessa von der Leyen o al trasformismo narcisista di Emmanuel Macron, che passa dalla desistenza con la sinistra al governo di destra.

Ancora più urgente dotarsi di strumenti di conoscenza, di un pensiero su pace e guerra, sul cambiamento climatico, sui diritti sociali e civili, senza cui non si costruisce l’alternativa alle destre al potere. Una politica come strumento di liberazione, non di conservazione. Da cercare ancora.

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