Non mi serve sapere che vita facciate, di una cosa sono certa: alcuni di voi, non tutti, ma non pochi, in questo momento provano la sensazione di vivere aspettando qualcosa. Forse è la stagione. Maggio fa questo effetto?

Sembra ieri, ci trovavamo alla fine di gennaio, si era appena chiuso il mese più lungo dell’anno (nelle percezioni), e ora è maggio, e non si sa come le ore sono volate. Dunque sì, il tempo passa, e magari abbiamo fatto pure tante cose, e tante ne sono successe. Belle, brutte, insignificanti, ingombranti.

Non è che siamo stati lì, con le mani in mano (ok, molti di noi sono stati con il telefono in mano a riempire ore di screentime, ma curiosamente anche questo genera accadimenti). Resta però la sensazione di essere nell’attesa di non si sa che. L’attesa di un autobus metaforico, del proprio turno per ottenere le risposte importanti della vita, di una rivoluzione, della catastrofe, di un atterraggio degli alieni. Ci si sveglia nel cuore della notte con un senso di irresolutezza, ma anche di possibilità. E la possibilità si trasforma in paura, e la paura in coraggio, e il coraggio resta poi lì a mezz’aria. Si prova la sensazione che qualcosa debba pur arrivare, prima o poi. Però non arriva nulla. Ma non è solo questo. La domanda, sempre, quando si parla di attesa, diventa sottilmente economica. Subdolamente economica. Il tempo è denaro (proverbio), ma se non volete usare la parola denaro potete dire che il tempo è valore, qualsiasi cosa sia il valore per voi. E l’attesa trasforma il tempo e lo deforma. E dunque trasforma il valore e lo deforma.

Da tempo a oggetti

Immaginiamo un’attesa semplice, non so, l’attesa di un aereo, seduti sulla sedia di plastica del terminal. Nel corso dell’attesa di solito trasformiamo il tempo in oggetti e azioni. Compriamo un pacchetto di patatine, leggiamo articoli e stupidaggini, lavoriamo, facciamo delle telefonate, cerchiamo prodotti scontati al duty free, ci illudiamo di avere improvvise idee geniali o addirittura epifanie da appuntare sulle note del telefono.

Proviamo a creare valore, insomma, un valore da mettere accanto al tempo, di modo che la frase “il tempo è denaro” non riveli la nostra tendenza allo spreco.

Ma anche se stessimo fermi, se non ci facessimo prendere da quest’ansia produttiva, e ci annoiassimo a morte, l’attesa potrebbe essere vista come un investimento sul futuro. Investiamo il tempo nell’attesa di un aereo che ci porterà dove dobbiamo o vogliamo andare. Non abbiamo alternative, il tempo deve passare, ma il suo passare porterà qualcosa.

È questo un atteggiamento più maturo, forse? Intendo dire: più spiritualmente maturo? Il caso dell’aereo è semplice, perché di norma l’aereo poi arriva. La questione si fa più complessa se non sappiamo cosa stiamo aspettando. In tal caso può crearsi una sorta di trappola dell’attesa: rimandiamo qualsiasi azione indefinitamente, nella speranza di un accadimento misterioso. Mentre scrivo queste parole mi viene quella piccola nausea da aeroporto nel giorno degli scioperi.

Natura economica

C’è una cosa molto diversa dall’attesa, ed è l’indugio. Quando indugiamo, non siamo gli schiavi dell’attesa che devono solo far passare il tempo, ma siamo i padroni del tempo, talmente padroni che decidiamo di rovesciarne il senso. Indugiando. Non so, stiamo correndo a un appuntamento di lavoro quando per un attimo il tempo sembra dilatarsi e osserviamo la realtà come se la vedessimo per la prima volta.

La città, i palazzi, le persone, il cielo: usciamo da noi stessi e diventiamo il mondo in cui camminiamo. Se “aspettare” significa proiettarsi nel futuro e rimandare la “vita vera” al momento in cui le cose si verificheranno, “indugiare” significa restare nel presente un po’ più a lungo (paradosso temporale), al fine di riempire la vita in maniera inaspettata, addirittura accantonando la nostra identità.

All’apparenza, l’indugio non ha una natura economica: non troverete esperti di efficienza che raccomandano l’arte dell’indugio, e poi l’indugio dà la sensazione di distrarsi, di perdersi le opportunità. Non ha una bella reputazione, in certi ambiti. Ma in realtà, se lo si guarda bene, l’indugio ha una natura economica, eccome: cosa c’è di più interessante, economicamente intendo, della capacità di dilatare il presente, e dunque di creare per magia valore dal nulla? Il presente è un puntino, è pari a zero, dunque la capacità paradossale di dilatare il presente corrisponde a una capacità di generare rendimenti infiniti.

Abbiamo appena trovato la maniera per diventare ricchi in modo impossibile.

© Riproduzione riservata