- L’ultimo decennio è stato politicamente ambiguo per i popolari europei: sempre al governo dell’Unione europea e spesso al governo nei vari stati nazionali, ma con un consenso sempre più ridotto.
- I popolari si dividono sui diritti civili, sulle politiche green, sull’immigrazione. Anche rispetto all’Unione europea si manifesta una totale asfissia di pensiero politico da parte dei popolari.
- Il partito oggi è preso tra incudine e martello, tra la vecchia e sicura formula centrista di governo e l’alleanza con i conservatori, o almeno parte di essi, per costruire un centrodestra europeo.
I popolari europei hanno messo in congelatore l’accordo con i conservatori in vista delle elezioni del 2024.
Troppe spaccature interne, troppe tensioni e così Manfred Weber ha dato mandato di evitare incontri pubblici sul tema dell’alleanza fino alla fine dell’estate.
Un fatto che registra le tentazioni e le difficoltà nella costruzione del centrodestra europeo, ma soprattutto la crisi profonda del popolarismo. Questa crisi non riguarda soltanto il rapporto con la destra conservatrice e nazionalista, dove è fisiologico che partiti centristi, democristiani, europeisti abbiano difficoltà ad immaginare una alleanza strutturale, che sfoci in un medesimo gruppo parlamentare, con partiti nazionalisti, euroscettici, identitari, ma tocca anche i nervi scoperti di un centro popolare che fatica ad immaginare se stesso e a disegnare una propria offerta politica.
Il costo dell’ambiguità
L’ultimo decennio è stato politicamente ambiguo per i popolari europei: sempre al governo dell’Unione europea e spesso al governo nei vari stati nazionali, ma con un consenso sempre più ridotto, incalzati dalle nuove forze nazional-populiste e da quelle liberali.
Una posizione di forza, essere classe di governo per lungo tempo, trasformata in una posizione di debolezza, diventare il bersaglio della politica anti-establishment, perdere la connessione con pezzi della società, veder scolorita la propria identità politica. Grandi coalizioni a Bruxelles e grandi coalizioni nei parlamenti nazionali con liberali, socialdemocratici oppure, talvolta, con i competitor della destra radicale. In quasi tutti i casi i partiti del popolarismo europeo ne sono usciti perdenti sul piano politico.
I gollisti annientati da Emmanuel Macron e Marine Le Pen in Francia, Forza Italia corrosa da Lega e Fratelli d’Italia, Cdu finita all’opposizione in Germania dopo anni di grandi coalizioni con la sinistra, i popolari spagnoli perdenti negli ultimi anni e incalzati da Vox a destra tanto per fare gli esempi più eclatanti.
Le spaccature
Perché sembra che i popolari non abbiano più nulla da dire all’elettorato? La ripartizione dei voti nelle seduto del parlamento europeo mostra il cattivo stato di salute del partito: i popolari si dividono sui diritti civili, sulle politiche green, sull’immigrazione. Su qualunque tema politico rilevante si voti, i popolari oscillano o si spaccano.
Qual era la loro identità? Moderazione nei toni e nelle riforme, integrazione europea senza eccessi dirigisti, libero mercato e conservatorismo etico caratterizzavano i popolari degli anni novanta e duemila. Poi sono arrivate le crisi, finanziaria, economica, migratoria, e la destra moderata non è riuscita a ricalibrarsi.
Soverchiati dalle responsabilità di governo questi partiti hanno scelto quasi sempre la via dell’accordo con i liberali e con i socialdemocratici, e nel compromesso con altre forze politiche hanno perso la propria specificità. Sui diritti civili e i valori religiosi i popolari sono un caso di sconfitta da manuale, divenuti oramai quasi del tutto indistinguibili dai liberali, disinteressati a marcare un tema identitario, hanno finito per rinunciare a qualsiasi discorso sulla cristianità in politica.
Lo stesso vale per l’immigrazione dove la moderazione tra la posizione open borders e quella intransigente, di fronte ad ondate di arrivi senza precedenti tra il 2014 e il 2016, non ha pagato sul piano politico. I consensi sono andati in gran parte a destra, verso la linea anti-immigrazione, mentre gli elettori moderati sono scivolati verso il centro liberale o la sinistra socialdemocratica.
Anche sul piano delle politiche ambientaliste, negli ultimi anni, i popolari hanno ceduto quasi completamente all’agenda politica della sinistra, incapaci di proporre una propria visione dell’ambientalismo, magari meno fondato sul millenarismo e sul dirigismo economico e più centrato sullo sviluppo tecnologico e industriale.
In questa spirale centripeta per governare le crisi hanno perso la presa sul proprio elettorato che da moderato si è trasformato in conservatore, è andato alla ricerca di difesa e protezione, di toni più aggressivi e assertivi, si è rivoltato contro le forze “governiste” dell’ultimo ventennio. Oppure, in parte minore, ha scelto l’elitarismo palese dei liberali.
Quale futuro per l’Ue?
Anche rispetto all’Unione europea si manifesta una totale asfissia di pensiero politico da parte dei popolari. Mentre la sinistra europea mira ad una integrazione sociale ed economica, al ritorno dello stato in forme europee, ad un dirigismo ecologista dal centro oramai esplicito, mentre i conservatori contestano con forza questa visione e si oppongono ad ulteriori porzioni di integrazione politica sovranazionale, i popolari sono rimasti nel mezzo senza un’idea ben precisa sul futuro dell’Unione europea.
Sono per il libero mercato o per l’interventismo socio-economico? Sono per l’ampliamento dei diritti civili senza limiti oppure vogliono fermarsi e in quale punto? Sono soddisfatti dell’attuale impianto funzionale-tecnocratico dell’Europa oppure vogliono rilanciare il concetto di sussidiarietà?
Sono domande prive di risposte che pure nella vaghezza complessiva dei programmi politici europei sono, in questo specifico caso, eccessivamente vaghe. Ne discende un partito oggi preso tra incudine e martello, tra la vecchia e sicura formula centrista di governo e l’alleanza con i conservatori, o almeno parte di essi, per costruire un centrodestra europeo.
Entrambe le scelte non sono prive di rischi. Se si persegue la prima, continuando a dare corda a liberali e social-democratici c’è il rischio che i popolari diventino il partner di minoranza della formula di governo europea in una posizione subordinata a quella della sinistra. Ciò perché è molto probabile che continui l’emorragia di voti sia verso i liberali che verso destra.
Invece se si sceglie la strada dell’alleanza a destra ci sarebbe l’opportunità sì di formare il più grande gruppo del parlamento europeo e dare le carte in sede di formazione della commissione, ma c’è anche il pericolo di perdere la componente centrista e precludersi qualsiasi forma di dialogo con i social-democratici, con cui l’alleanza di governo è consolidata, per mettersi nelle mani dei conservatori ed eventualmente trattare con i liberali.
In ogni caso, senza una ristrutturazione dell’offerta politica e culturale, i popolari corrono il forte rischio di essere cannibalizzati dalle forze politiche che li circondano. È un labirinto dal quale non è semplice uscire, anche perché quasi certamente sarà impossibile governare l’Unione europea senza coalizioni “miste”, cioè che presuppongano un accordo tra il centro e la destra oppure tra il centro e la sinistra.
In conclusione, il primo pericolo da evitare per i popolari è quello di morire di politicismo e tatticismo poiché è vero che essi hanno varie opzioni per continuare in ogni caso a governare, ma senza la ricostruzione di una identità politica e culturale non hanno quasi nessuna chance di farlo da primo attore. E in questo caso si chiuderebbe una lunga, fondamentale pagina di storia dell’integrazione europea.
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