- Sondaggi e risultati locali concordano, senza ormai nessun dubbio, nel segnalare Pd e FdI come “i primi partiti” della rispettiva area
- Sono dunque anche quelli su cui ricadono le maggiori responsabilità per tenerla insieme, sempre che questo continui ad essere un obiettivo apprezzabile e “apprezzato” dal sistema elettorale.
- Entrambi hanno un problema simile, che è un risvolto del loro successo: gestire i rapporti con un alleato sofferente.
Le elezioni comunali del 12 giugno consegnano due o tre risultati chiari, altri ancora indeterminati, che verranno solo in parte risolti dai ballottaggi.
Come era percepibile alla vigilia, sulla base dell’analisi della presentazione delle liste, Partito democratico e Fratelli d’Italia erano fiduciosi di un buon risultato e hanno fatto di tutto per lasciarlo a verbale.
Il segretario Enrico Letta non solo deve aver spinto perché simbolo e denominazione del Pd fossero presenti nel maggior numero di comuni possibili. Ha anche chiesto, in uno di quei suoi modi gentili di fronte ai quali in questa fase è difficile dire di no, a diversi parlamentari in carica di misurarsi con le preferenze entrando nelle liste per il consiglio del proprio comune.
La scommessa di portare a casa un risultato confortante è stata vinta. Che questo significhi avere raggiunto la posizione più alta del podio è un’altra questione.
Come si vince
I risultati complessivi delle liste di partito in una tornata amministrativa dipendono da tanti fattori. Oltre che dal numero dei comuni da cui si prendono gli addendi (pari al numero dei comuni in cui il simbolo è stato messo sulla scheda e quindi i voti al partito possono essere contati), va considerata ad esempio la propensione più o meno sviluppata dell’elettorato della propria area politica a rifluire temporaneamente verso liste civiche o liste personali del candidato sindaco, o anche il numero di candidati al consiglio comunale che si muovono alla ricerca delle preferenze (appunto).
Il risultato di Fratelli d’Italia, sicuramente lusinghiero, è stato con tutta probabilità al di sotto delle aspettative che Giorgia Meloni aveva maturato.
D’altro canto, appena due settimane fa, lo stesso YouTrend che ha decretato il “Pd primo partito” dopo le amministrative, aveva incoronato “primo partito” Fratelli d’Italia sulla base della media dei sondaggi nazionali.
Difficile dire quale delle due misure sia più vicina alla realtà. Ma mentre il secondo metodo (i sondaggi nazionali) può portare a errori per limiti non imputabili ai ricercatori, il primo (la somma dei voti presi nei comuni in cui il simbolo era sulla scheda) è proprio inadeguato per stabilire primati.
In ogni caso, sondaggi e risultati locali concordano, senza ormai nessun dubbio, nel segnalare Pd e FdI come “i primi partiti” della rispettiva area e dunque anche quelli su cui ricadono le maggiori responsabilità per tenerla insieme, sempre che questo continui ad essere un obiettivo apprezzabile e “apprezzato” dal sistema elettorale.
I problemi comuni di Pd e FdI
Entrambi hanno un problema simile, che è un risvolto del loro successo: gestire i rapporti con un alleato sofferente. Sulla drastica caduta di Lega e M5S si è già detto fin troppo.
Pure questa segnalata in anticipo dalla difficoltà o dalla reticenza di Giuseppe Conte e Matteo Salvini a presentare liste per i consigli comunali con il simbolo della rispettiva ditta.
Le due cadute hanno però effetti diversi sul piano elettorale. L’elettorato che si era rivolto a Salvini sembra rimanere in larga misura nell’alveo del centrodestra. Perché è, innanzitutto, un elettorato di centrodestra, che così come si era rivolto in passato a Silvio Berlusconi e Salvini, oggi guarda con interesse e rispetto a Meloni. Al punto che la leader di FdI non lo può considerare “suo”.
Se ne è avuta una prova indiretta nei casi in cui Fratelli d’Italia ha deciso di presentare candidati a sindaco propri, in concorrenza con gli altri partiti dell’area. Meloni ne ha preso atto e si è già dimostrata pronta, in quei casi, a tornare in squadra.
Al contrario, l’elettorato ex Cinque stelle è molto meno identificato, tanto con il partito quanto, a maggior ragione, con la nuova area progressista dentro cui Giuseppe Conte vorrebbe portarlo.
Va detto che le misure disponibili a questo riguardo sono esili, perché i Cinque Stelle non sono andati mai maolto bene alle amministrative, tranne nei pochi casi noti di alcune grandi città. Quindi calcolare come si sono divisi nel corso del tempo è un azzardo.
Ciò premesso, quello che si vede dai flussi tra 2017 e 2022 è un panorama veramente assai mosso, con elettori pentastellati di allora spesso attratti dall’astensione o dalle traiettorie più varie.
Fino al caso di Palermo, in realtà non così strano, se si conoscono i protagonisti, in cui il loro rivolo più consistente pare andato a sostegno di Fabrizio Ferrandelli, ora centrista calendiano, dopo essere stato alla scuola di Leoluca Orlando e poi, nel 2017, candidato con il sostengo dal centrodestra come suo diretto avversario.
Quindi, svolgere il ruolo di leader del “primo partito” per Giorgia Meloni è più semplice. Per Enrico Letta molto meno. Il suo Pd è in buona salute, ma ha intorno potenziali alleati poco prevedibili e variamente assortiti. Anche per questo l’opzione (o il miraggio) di una legge proporzionale è sempre in agenda.
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