- Per gli eredi della sinistra Dc e del Ppi il Pd non è stato un incidente della storia, ma l’esito di una traversata cominciata trent’anni fa, nel 1993, con il cambio del nome da Dc a Partito popolare e la divisione nel 1995.
- Sorprende, oggi, sedici anni dopo, la polemica sui (e soprattutto dei) cattolici che non si sentono rappresentati nel Pd di Schlein, fino ad associarsi alle critiche alla nuova segretaria diffuse sì, ma a destra.
- Una polemica che non fa i conti con una verità bruciante: in trent’anni il serbatoio si è inaridito.
«Chiediamo, nel rispetto della chiesa, che non si metta in dubbio la laicità delle istituzioni. La nostra responsabilità di legislatori cui tocca il compito di legiferare per tutti». Si concludeva così il documento firmato da sessanta parlamentari cattolici-democratici della Margherita. Nessuno li chiamava cattodem, perché il Pd non esisteva ancora. Quel documento fu uno degli atti di nascita, il 7 febbraio 2007, con la disponibilità dei cattolici ex dc, ex popolari a far nascere il nuovo partito, sul terreno più sensibile, i temi etici, com’era la legge sulle unioni civili, i Dico.
Presidente del Consiglio era il cattolico Romano Prodi, nel mezzo della bufera, contro il governo dell’Unione il cardinale Camillo Ruini promosse il Family Day in piazza San Giovanni, tra i relatori scelti c’era l’ex radicale Eugenia Roccella (oggi ministra del governo Meloni), tra la folla magliette contro Prodi e contro Rosy Bindi, all’epoca ministra della Famiglia. In quella battaglia i cattolici democratici si schierarono: dalla parte della laicità dello Stato e del Partito democratico in formazione (nascerà otto mesi dopo). «Il dovere della politica è di non ignorare ciò che emerge dalla realtà sociale», si leggeva nel documento. «Da cristiani laici impegnati in politica, assumiamo per intero la fatica di una mediazione che sappia produrre un punto di incontro e che eviti lacerazioni». Tra i promotori c’erano Franco Marini, Pierluigi Castagnetti, Dario Franceschini. Tra i firmatari, Sergio Mattarella.
Per gli eredi della sinistra Dc e del Ppi il Pd non è stato un incidente della storia, ma l’esito di una traversata cominciata trent’anni fa, nel 1993, con il cambio del nome da Dc a Partito popolare e la divisione nel 1995: il partito di Buttiglione con Berlusconi, i popolari con Prodi nell’Ulivo e poi, dopo mille convulsioni, nel Pd. Traghettati da alcune figure: Castagnetti, il segretario che portò il Ppi nella Margherita, i due giovani Enrico Letta (ulivista) e Dario Franceschini, con un percorso tortuoso, da difensore della «identità popolare», contro ogni ipotesi di scioglimento dei cattolici in un altro partito, a numero due del Pd di Veltroni e segretario nel 2009, a sostenitore di Elly Schlein oggi (al pari di Letta).
Sorprende, oggi, sedici anni dopo, la polemica sui (e soprattutto dei) cattolici che non si sentono rappresentati nel Pd di Schlein, fino ad associarsi alle critiche alla nuova segretaria diffuse sì, ma a destra: troppo leggera, troppo individualista, troppo woke. Appare un ritorno all’indietro, una ritirata identitaria, incomprensibile per la cultura dei cattolici democratici, attrezzata a essere di minoranza, nella Chiesa e nei partiti che l’hanno ospitata (a cominciare dalla Dc), abituata al dialogo, a contaminarsi con le altre culture.
Una polemica che non fa i conti con una verità bruciante: in trent’anni il serbatoio si è inaridito, il laicato si è estenuato, le principali associazioni e movimenti (dall’Azione cattolica a Comunione e liberazione) hanno smesso di produrre progetti e leadership, le gerarchie ecclesiastiche sono passate dal post-Concilio, con la formazione di laici attenti al bene comune, al ruinismo che invece teneva per sé il rapporto privilegiato e contrattuale con i palazzi, abbandonando il popolo alla demonizzazione della politica. Da «la politica è la più alta forma di carità» a «la politica è una cosa sporca». Ecco un motivo per cui il berlusconismo, il grillismo, e poi Salvini e Meloni sono penetrati in profondità nell’elettorato cattolico, senza resistenza.
In questo percorso, la cultura dei cattolici democratici, come anche quella di sinistra, è stata travolta dalla secolarizzazione delle passioni e delle identità che hanno reso la politica un cinico mestiere per pochi e non più un orizzonte di speranza per tutte e tutti. Il cuore della sfida di Elly Schlein è ricostruire questo tessuto. Spetta alla segretaria valorizzare anche questo tesoro di impegno civile e politico. Spetta ai cattolici trovare il filo per essere protagonisti anche di questa fase, che non si gioca sugli organigrammi. Senza il lievito di un ideale, e senza questa ispirazione, la democrazia appassisce e il Pd si perde, come si è perso.
Per questo vanno seguiti, alle prossime elezioni amministrative, il candidato sindaco di Pisa Paolo Martinelli (ex presidente delle Acli), la candidata sindaca di Siena Anna Ferretti (ex Caritas), Giacomo Possamai a Vicenza. C’è una nuova generazione, ben rappresentata dal documento pubblicato da Domani il 19 aprile («Noi giovani cattolici con Elly Schlein, non moderati ma radicali»), promossa da ragazzi e ragazze nati in gran parte nel 2002-2003, cresciuta con il pontificato di papa Bergoglio, che guarda alle questioni del XXI secolo, l’ambiente, la disuguaglianza, le migrazioni, i nuovi diritti e i nuovi doveri. La «democrazia sostanziale» di cui ha parlato Giuseppe Dossetti. Giovani cattolici impegnati in politica, magari ingenui, ma che una cosa hanno già compreso: il rifiuto di identificare il cattolicesimo politico con il moderatismo, come sempre hanno fatto i cattolici democratici di ogni generazione. Solo che ora l’hanno dimenticato.
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