- L’invito rivolto dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi per un patto sociale non può essere che benvenuto.
- A condizione che non si dimentichi che un patto si sigla tra contraenti che dispongono di risorse simili, dove ciascuno cede qualcosa all’altro.
- Un patto raggiunto senza aver definito gli interessi in campo e chi soprattutto chi li rappresenta rimane fragile.
L’invito rivolto dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi per un patto sociale non può essere che benvenuto. A condizione che non si dimentichi che un patto si sigla tra contraenti che dispongono di risorse simili, dove ciascuno cede qualcosa all’altro.
L’esortazione lanciata al convegno confindustriale va comunque conciliata con i principi di fondo di un sistema democratico per evitare scivolamenti neocorporativi da un lato, o direttivi, di tipo top-down, dall’all’altro.
A cosa serve il conflitto
Una democrazia ben funzionante necessita, in dosi adeguate, sia di conflittualità che di propensione all’accordo-compromesso. Due istanze apparentemente inconciliabili. Ma solo apparentemente.
La prima postula il confronto tra visioni e programmi diversi che competono nell’arena politica per conquistare il favore degli elettori.
Questo tipo di conflitto va però regolato da norme e istituzioni che lo incanalano per evitare che deflagri e provochi rotture insanabili.
All’inizio del Novecento le piccole democrazie europee individuarono nella legge elettorale proporzionale la strada maestra per far sì che le fratture che le solcavano si stemperassero nel voto alla propria parte.
In tal modo, ogni divisione veniva portata in superficie ed espressa nella competizione elettorale dove, grazie alla proporzionale, le minoranze avevano alte possibilità di eleggere in parlamento un proprio rappresentante.
Inoltre, la pluralità delle voci e le loro potenziali divisività venivano sublimate dall’altro aspetto proprio della democrazia richiamato sopra: l’accordo-compromesso.
Anche i sistemi nei quali chi vince prende tutto e agli altri non rimane che l’opposizione, nella speranza di ritornare prima o poi al potere, necessitano di una propensione all’accordo da parte dei vincitori. Esempio tipico, lo statuto dell’opposizione in Gran Bretagna.
Questo tipo di democrazia maggioritaria non è molto diffuso in quanto per reggere necessita di una solidità istituzionale di lunga data e di culture politiche abbastanza omogenee. In Italia abbiamo tentato, senza successo, di avvicinarci a tale modello.
Destra contro sinistra
Per molte ragioni, tra cui l’insofferenza verso un bizantinismo litigioso che portava a governi instabili, dopo Tangentopoli la spinta verso un nuovo sistema elettorale, e una diversa dinamica della competizione, più vicina al modello maggioritario, divennero inarrestabile.
Queste innovazioni non hanno dato buoni frutti, soprattutto a causa della radicale trasformazione del sistema partitico. L’irruzione di forze politiche nuove e acerbe non consentì che le dinamiche politiche competitive fossero temperate da una adeguata propensione all’accordo-compromesso.
Dopo il 1994 divennero infatti dominanti partiti improvvisati come Forza Italia, uniti solo dal carisma del fondatore, o come la Lega che usciva dal suo recinto localistico e tendenzialmente anti-sistema, o come An appena approdata, con grandi incertezze e resistenze, ai lidi democratici.
In queste condizioni il conflitto tra destra e sinistra toccò vette di asprezza raggiunte solo nei primi lustri del dopoguerra, senza trovare alcun terreno comune per imbrigliare, a beneficio di tutti, i contrasti. Non per nulla, a fine anni Novanta, bruciò come un falò estivo il progetto di riforme istituzionali proposto dalla Commissione bicamerale.
L’arrivo dei Cinque stelle ha ulteriormente polarizzato lo scontro politico, dalla richiesta di impeachment del presidente della repubblica da parte dei pentastellati (caso Savona), all’invocazione di pieni poteri da parte di Matteo Salvini all’apice del suo delirio di onnipotenza.
Con Draghi
Il governo del demiurgo Draghi ha sterilizzato il conflitto. Partiti antitetici sono stati portati a collaborare – meglio, a coesistere – al governo.
Questo annebbiamento della politica non garantisce però di arrivare ad un patto sociale come quello auspicato da Bonomi, in quanto è necessario che i diversi interessi in gioco, in questo caso la frattura capitale-lavoro, abbia dei precisi interlocutori politici.
L’accordo-compromesso, anche sul piano sociale, arriva solo dopo che le diverse posizioni in campo vengono espresse, e magari nettamente manifestate con azioni.
Un patto raggiunto senza aver definito gli interessi in campo e chi soprattutto chi li rappresenta rimane fragile. Tanto nella società quanto nella politica.
Il perdurare di una notte della politica non aiuta a superare le divisioni. Le annacqua soltanto, e per di più, solo nel breve periodo.
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