- Nei giorni in cui scoppiava il cosiddetto Qatargate è stato associato alle carceri italiane l’ex senatore e sottosegretario di Forza Italia Antonio D’Alì con la sentenza di concorso esterno all’associazione mafiosa.
- Gli appelli a riscoprire la questione morale invocati a gran voce dalla sinistra anti-Pd hanno un suono un po’ farlocco.
- Il Pd non ricorre né a difese d’ufficio, né al silenzio, né al garantismo alle vongole sbandierato dalla destra.
Nei giorni in cui scoppiava il cosiddetto Qatargate è stato associato alle carceri italiane l’ex senatore e sottosegretario di Forza Italia Antonio D’Alì con la sentenza di concorso esterno all’associazione mafiosa. Parliamo di un reato che arriva a includere responsabilità per stragi e scioglimenti di bambini nell’acido. Qualcosa di decisamente più grave e infamante delle mazzette.
Eppure da Forza Italia e dalla destra non si è levata una sola voce di contrizione per questo fatto. E’ passato sotto silenzio, anche per gran parte della stampa italiana.
Ancora una volta, come scritto su questo giornale dal filosofo Federico Zuolo, laddove i principi occupano un posto elevato nella scala dei riferimenti ideali di un partito, la reazione ai misfatti compiuti dai propri membri è più forte, e drammaticamente vissuta, rispetto a chi questi principi li pone ad un livello molto più basso.
Quindi, gli appelli a riscoprire la questione morale invocati a gran voce dalla sinistra anti-Pd hanno un suono un po’ farlocco, per il semplice fatto che il Pd non ricorre né a difese d’ufficio, né al silenzio, né al garantismo alle vongole sbandierato dalla destra.
Tra l’altro, ad oggi, nessun rappresentante dei democratici è indagato. Nonostante ciò, anche se Letta si buttasse dal Colosseo per espiare i peccati dei suoi ex europarlamentari, non basterebbe. Perché , a dispetto di ogni evidenza, il Pd deve comunque “affrontare la questione morale” .
Se di questo si deve parlare allora per prima cosa va riposto nel cassetto, una volta per tutte , il santino di Enrico Berlinguer.
Per due ragioni. La prima è che il Pd non è solo l’erede del Pci in quanto nel suo alveo sono confluite anche componenti ex-democristiane e non è detto che il lavacro di Mino Martinazzoli con la trasformazione in Partito Popolare abbia del tutto mondato le tradizionali pratiche corruttive di quel mondo.
La seconda è che nel Pd, ma già nelle formazioni ex-Pci, il rapporto con il denaro si era laicizzato, per usare un eufemismo. Guadagnare bene ed esibire alti standard di vita non era (più) un problema. Anzi era un sintomo di modernità.
Tanto che molti dirigenti della sinistra sono poi approdati ai piani alti dell’establishment economico-finanziario, pubblico e privato.
Quando il denaro diventa l’alfa e l’omega del successo personale, anche nei politici e anche attraverso la politica, dimenticando vocazione e spirito di servizio, l’etica diventa più fragile.
Il ciclone giudiziario abbattutosi sul Pd romano sta lì a dimostrarlo. Ma la moralità di un partito non riguarda tanto e solo il numero di rei che si annidano al suo interno, quanto piuttosto la sua inflessibilità nei confronti di chi delinque.
E mentre il Pd va oltre le righe stracciandosi le vesti anche se nessuno dei suoi rappresentanti è inquisito ( per ora), a destra condono e perdono vanno a braccetto.
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