- Quando mia figlia più grande viene da me per dirmi con solennità che si annoia, e per chiedermi cosa deve fare per non annoiarsi, io di solito le rispondo: «Non devi fare niente, continua così, annoiarsi è importantissimo».
- Potrebbe sembrare una risposta brillante da padre di Natalia Ginzburg, ma io non sono un genitore brillante. E naturalmente lei sbuffa perché pensa che la stia prendendo in giro.
- La verità è che secondo me la noia è un bene, e credo sia importante educare i figli al tempo sprecato nella noia.
Quando mia figlia più grande viene da me per dirmi con solennità che si annoia, e per chiedermi cosa deve fare per non annoiarsi, io di solito le rispondo: «Non devi fare niente, continua così, annoiarsi è importantissimo».
Potrebbe sembrare una risposta brillante da padre di Natalia Ginzburg, ma io non sono un genitore brillante. E naturalmente lei sbuffa perché pensa che la stia prendendo in giro. La verità è che secondo me la noia è un bene, e credo sia importante educare i figli al tempo sprecato nella noia.
Sono cresciuta in Pianura Padana. Non so come mai ho sempre pensato che questo dato anagrafico porti le persone, o per meglio dire certe persone, a una maggiore capacità di comprensione del tedio, che nei paesaggi piatti ha il suo sfondo naturale.
Saranno le estati calde, umide e piene di zanzare, che ti addestrano a una specie di arrendevolezza, visto che con le zanzare la battaglia è persa. Sarà l’immobilità delle risaie, quel mare artificiale, a quadretti.
Saranno i pioppeti con la loro fastidiosa sincerità (i pioppi son lì, son dritti, son più schietti dei cipressi di Carducci).
Il valore educativo del tempo
Sarà che se vuoi nasconderti in pianura è più difficile, non c’è una montagnetta dietro la quale acquattarsi: o sei produttivo, esemplare e porti avanti un’esistenza a tuo avviso ineccepibile, come in effetti tanti fanno, oppure, se sei una persona più sbilenca, ti lasci andare e abbracci la tua natura nella sua pienezza, arredando la vita con una noia esplicita.
Dentro la noia, nel corso degli anni, ho maturato senza rendermene conto pensieri e progetti che mi sono cari. Ho avuto qualche intuizione importante per me.
Ho imparato a giocare con quello che avevo a disposizione, ho lasciato che la realtà osservata occupasse il mio cervello, lasciandosi descrivere.
Ho coltivato una forma povera di benessere, povera nel senso che non costa niente. Ma nessuno di questi è il vero motivo per cui apprezzo la noia. In certe cose, infatti, il vero motivo è sempre ineffabile.
I bambini di oggi, naturalmente, per tante ragioni, hanno meno occasioni di annoiarsi. La tecnologia, se liberamente accessibile, produce intrattenimento. Ma anche là dove si mettano dei divieti alla tecnologia, arrivano i genitori contemporanei, spesso posseduti dall’idea di tenere occupati i figli, di riempire il loro tempo in maniera intelligente. E non sto parlando di persone che vogliono “parcheggiare i figli”, come si dice oggi.
Parlo di persone davvero convinte del valore educativo del tempo usato solo produttivamente. I bambini devono impiegare i pomeriggi in modo fruttuoso, per praticare sport, per stare all’aria aperta, impegnati in varie attività. Non hanno mai un momento vuoto (mi capita spesso di dover prenotare con largo anticipo il pomeriggio di qualche bambina con cui mia figlia vorrebbe giocare).
Il mio non è un elogio della lentezza, non è una questione di recuperare un tempo andato, anche perché i tempi andati sono quasi sempre una fantasia, una ricostruzione forzata, come quei borghi finti che ospitano gli outlet.
Sbadigliare
Mi limito a dire che accettare i momenti in cui non facciamo nulla e sbadigliamo potrebbe essere una buona idea. Potrebbe essere arricchente educare anche a questo.
Qualche giorno fa ho letto uno studio pubblicato da Industrial and Labor Relations Review (una rivista della Cornell University) dove si parla dell’intensificazione del lavoro dagli anni Novanta a oggi. Lo sforzo che mettiamo nel lavoro ha due dimensioni: le ore lavorate, ovviamente, e l’intensità.
L’intensità, a sua volta, ha a che fare con la fatica fisica, cognitiva ed emotiva del lavoro, con la necessità di fare più cose simultaneamente, con le interruzioni, con il giudizio e il controllo al quale siamo sottoposti.
Negli ultimi trent’anni si è osservata un’intensificazione del lavoro in molti paesi europei (e non solo), e una conseguente – non so come dirlo altrimenti – perdita di senso. Hai la sensazione di lavorare molto e al tempo stesso di non capire, a fine giornata, cos’hai fatto? Ecco.
Questa alienazione deriva forse dal fatto che oggi non esistono, o non sono ammessi, gli spazi vuoti. Ed è uno squilibrio che si estende alla vita: abbiamo giornate molto piene, eppure avvertiamo distintamente gli anni che volano via.
Abbiamo il sospetto che il tempo sia stato sprecato, ma in modo paradossale, cioè senza che noi abbiamo fatto nulla per sprecarlo. Germoglia in noi un senso di irrealtà. In un mondo di questo tipo insegnare l’arte della noia ai bambini può essere un’idea interessante.
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