- Un senatore di Fratelli d'Italia ha presentato un disegno di legge per “sacralizzare” la lingua italiana, riconoscendola nella Costituzione come «lingua ufficiale della Repubblica».
- Il fenomeno migratorio renderebbe necessaria la «difesa dell'identità italiana».
- L’Italia vuole seguire le orme della Francia, ove da tempo l'uso del francese è obbligatorio in molti contesti pubblici e un’apposita Commissione promuove la lingua nazionale, indicando parole autoctone da sostituire a termini stranieri.
L’italiano si appresta entrare nella Costituzione. Roberto Menia, senatore di Fratelli d'Italia, ha presentato un disegno di legge per sancire che «L’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Tutti i cittadini hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla».
Nella relazione illustrativa, Menia sostiene di voler “sacralizzare” la lingua italiana, in quanto «elemento costitutivo e identificante della comunità nazionale», e lamenta il fatto che l’Italia sia «uno dei pochi Paesi occidentali in cui la Costituzione non preveda espressamente il riconoscimento della lingua nazionale come lingua ufficiale dello Stato».
Alcuni passaggi rendono palese la connotazione politica della proposta. Ad esempio, si afferma che il «fenomeno migratorio» impone la «difesa dell'identità italiana delle nostre città e paesi».
La situazione nell’Ue
Nove tra gli Stati membri dell’Unione europea prevedono nella Costituzione il riconoscimento di una lingua ufficiale o nazionale (Austria, Francia, Portogallo, Spagna, Bulgaria, Lettonia, Polonia, Romania e Slovenia); due (Finlandia e Irlanda), invece, l'uso di più lingue; la Costituzione del Belgio non sancisce alcuna lingua ufficiale, ma divide il territorio nazionale in quattro regioni linguistiche.
Altri paesi non hanno alcun richiamo nella Costituzione, ma demandano il riconoscimento della lingua alla legislazione ordinaria.
La nostra Costituzione non dispone formalmente che l’italiano sia la lingua dello Stato.
Tuttavia, secondo la Corte costituzionale, la Carta «conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l'italiano come unica lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari» (sentenza n. 28/1982).
Essa, infatti, fornisce tutela alle minoranze linguistiche (art. 6 Cost.) - come espressione dei principi di pluralismo (art. 2 Cost.), di eguaglianza e non discriminazione, nonché di pieno sviluppo della persona umana (art. 3 Cost.) – proprio nel presupposto che l’italiano sia la lingua nazionale.
La legge ordinaria, in linea con l’impostazione costituzionale, riconosce espressamente l’italiano come «lingua ufficiale della Repubblica» (l. n. 482/1999).
Tale riconoscimento, afferma ancora la Corte costituzionale, non ha «solo una funzione formale, ma funge da criterio interpretativo generale delle diverse disposizioni che prevedono l'uso delle lingue minoritarie, evitando che esse possano essere intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica».
Dunque, a prescindere da modifiche costituzionali, già oggi l’italiano è formalmente previsto dall’ordinamento.
Fabio Rampelli, deputato di Fratelli d’Italia, in una intervista ha dichiarato che la proposta di legge costituzionale sarà affiancata da una legge ordinaria che obbligherà le amministrazioni partecipate dallo Stato a utilizzare l'Italiano.
Insomma, pare che l’Italia voglia seguire le orme della Francia, che da anni proibisce l’uso di parole straniere in molti ambiti pubblici.
La tutela del francese
In Francia è relativamente recente (1992) l'introduzione nella Costituzione di una disposizione ai sensi della quale il francese costituisce la lingua della Repubblica (legge costituzionale n. 92-554).
Nell’agosto del 1994, poi, una legge (n. 94-665) voluta da Jacques Toubon, allora ministro della cultura del governo Balladur, stabilì che l'uso del francese fosse obbligatorio in una serie di contesti: dalle condizioni di garanzia di un bene, di un prodotto o di un servizio alle fatture e ricevute, dagli annunci destinati all'informazione del pubblico ai contratti stipulati da soggetti pubblici, dalle scuole ai luoghi di lavoro.
Inoltre, in Francia c’è un’apposita Commissione - la Commissione per l'arricchimento della lingua francese (fino al 2015 chiamata Commissione generale di terminologia e neologia) – che ha il compito di promuovere l'uso della lingua nazionale, indicando soluzioni autoctone rispetto a termini stranieri.
L’elenco di quelli da sostituire con parole francesi viene costantemente aggiornato e reso noto attraverso la pubblicazione dei sinonimi sulla Gazzetta Ufficiale francese (Journal Officiel).
Da ultimo, nel maggio scorso, ad esempio parole come streamer, e-sports o cloud gaming sono state modificate in joueur-animateur en direct, jeu video de competition e jeu video en nuage, dopo che l’Académie Française – istituzione preposta a vigilare sulla lingua francese - aveva rimarcato la necessità di contrastare il degrado linguistico determinato dall’uso di espressioni di altri Paesi.
Le incoerenze italiane
Solleva qualche dubbio il fatto che la proposta di inserire l’italiano in Costituzione provenga dall’esponente di un partito che guida un Governo il cui vertice ha istituito un ministero intitolato al “made in Italy” e si è definita “underdog” nel primo discorso in parlamento; e il cui ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha affermato che un certo abuso dei termini anglofoni è tipico di uno «snobismo molto radical chic», non rendendosi forse conto dell’incoerenza di spiegare con parole non italiane una proposta di legge sull’obbligo di usare l’italiano.
Lascia pure perplessi che, nella citata intervista, l’onorevole Rampelli abbia rilevato che utilizzare termini stranieri «significa ridurre la comprensibilità» delle leggi, mentre non si sia preoccupato della loro scarsa comprensibilità derivante da errori sintattici e lessicali contenuti nei testi normativi, da eccessivi rimandi ad altre disposizioni, anche future, e da molto altro.
Rampelli ha pure detto che «chi sceglie di diventare cittadino italiano deve parlare italiano» e che nella riforma della cittadinanza andrà «inserita la conoscenza della lingua».
Forse l’onorevole di Fratelli d’Italia dimentica che, ai sensi del primo decreto Sicurezza (d.l. n. 113/2018, art. 14), la concessione della cittadinanza italiana «è subordinata al possesso, da parte dell'interessato, di un'adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue».
E lo stesso vale anche per lo straniero che voglia ottenere anche solo il permesso europeo per soggiornanti di lungo periodo.
Una maggiore conoscenza delle norme vigenti gioverebbero alla credibilità di certe proposte di legge.
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