- Poche ore prima che il neoeletto parlamento si insediasse, i militari si sono mossi contro il governo democraticamente eletto, arrestando il consigliere di stato Aung San Suu Kyi e numerosi altri leader;
- In un messaggio alla cittadinanza Aung San Suu Kyi esorta a non inchinarsi al colpo di stato ed anzi ad opporsi ad esso;
- Molti erano convinti che un colpo di stato fosse ormai improbabile in Birmania, dato che l’attuale sistema è stato progettato dai militari per mantenere il potere evitando al contempo di assumersi qualunque responsabilità di governo.
Le elezioni politiche tenutesi in Birmania all’inizio di novembre erano state un plebiscito in favore di Aung San Suu Kyi e del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), per cui l’83 per cento dei cittadini birmani aveva entusiasticamente votato.
Questa mattina, tuttavia, poche ore prima che il neoeletto parlamento si insediasse, i militari si sono mossi contro il governo democraticamente eletto, arrestando il consigliere di stato Aung San Suu Kyi e numerosi altri leader, tra cui il presidente Win Myint e il suo vice Zaw Myint Maung.
I militari hanno arrestati o posto in stato di fermo alcuni altri membri del governo nazionale e di quelli regionali, legislatori nazionali e regionali e alti funzionari della Nld.
Fonti nel paese fanno filtrare che anche numerose personalità di spicco legate al movimento per la democrazia sarebbero state arrestate in queste ore e non è chiaro dove siano detenute e in che condizioni.
La causa dell’ennesima intrusione da parte dei militari nella vita politica della Birmania è tanto semplice quanto infondata, e cioè le presunte frodi elettorali architettate proprio dalla Nld, la cui schiacciante vittoria è stata avvertita come un pericolo reale dai soldati.
Gli arresti sono iniziati intorno alle 2:30 del mattino, condivisi in streaming dagli attivisti, prima che le linee telefoniche fossero interrotte per alcune ore, nella capitale Naypyidaw e poi a Yangon. La maggior parte dei cittadini è rimasta all’oscuro del colpo di stato per ore, tanto che molti dipendenti pubblici si sono recati normalmente al lavoro con i mezzi di trasporto governativi. E hanno notato la presenza di mezzi militari e soldati lungo le strade principali della capitale così come il cordone creato dalla polizia attorno alla foresteria municipale dove i legislatori si sarebbero dovuti riunire questa mattina prima dell’apertura del parlamento.
Le proteste
Non appena sono emerse le notizie degli eventi accaduti durante la notte la gente si è riversata nelle strade e nei mercati per fare scorta di generi di prima necessità, prelevando anche i pochi risparmi agli sportelli automatici, dato che le banche sono state chiuse.
L’esercito ha dichiarato lo stato di emergenza per un anno e ha nominato Myint Swe – vicepresidente nominato dai militari nel governo guidato dalla Nld – presidente ad interim. In una dichiarazione trasmessa dai media controllati dal Tatmadaw – il nome ufficiale con cui ci si riferisce alle forze armate – poco dopo le 8 del mattino, i militari hanno menzionato l’articolo 417 della costituzione, che consente l’assunzione di potere da parte dei soldati in caso di emergenza che minacci la sovranità del Myanmar o che potrebbe «disintegrare l’Unione» (il nome ufficiale del paese è, infatti, Repubblica dell’Unione del Myanmar) o attentare alla «solidarietà nazionale».
Tuttavia, questa è una eventualità che deve trovare l’avallo del presidente in accordo con il Consiglio Nazionale di Difesa e Sicurezza; dato, però, che il presidente Win Myint non sembra abbia preso la decisione, i militari starebbero facendo affidamento sull’articolo 73 (sezione a), che consente al vicepresidente «di assumere le funzioni presidenziali se l’ufficio del presidente diventa vacante a causa delle sue dimissioni, morte, invalidità permanente o qualsiasi altra causa».
L’esercito ha dichiarato che procederà alla riforma della Commissione elettorale dell’Unione, esaminerà le liste degli elettori, organizzerà una nuova elezione e trasferirà il potere al partito vincente. Promesse già ampiamente sentite in passato.
Sulla pagina Facebook del presidente della Lega Nazionale per la Democrazia è stata pubblicata la foto di una lettera apparentemente vergata da Aung San Suu Kyi, in cui la Lady fa provocatoriamente riferimento a un testamento che scrisse nel 1989, la prima volta in cui dovette subire l’arresto da parte dei militari, nel quale decretò che se fosse morta la sua casa sarebbe stata trasformata in un museo. Ciò lascia supporre che Aung San Suu Kyi tema che la sua vita sia potenzialmente in pericolo.
Ciononostante, la missiva si conclude con un messaggio forte e deciso che esorta i cittadini a non inchinarsi al colpo di stato ed anzi ad opporsi ad esso.
Quale futuro per la Birmania?
Dopo gli inquietanti eventi di stamattina la situazione è estremamente grave e risulta particolarmente difficile provare a fare speculazioni sul futuro politico del paese. La giustificazione per il colpo di stato è molto fragile: Win Myint non è stato in grado di adempiere ai suoi doveri solo perché i militari lo hanno arrestato. Allo stato attuale, tuttavia, la costituzione rimane in vigore.
Da un lato ciò potrebbe essere positivo, poiché la carta offre potenzialmente un percorso per tornare al governo democratico; dopo che l’ultima costituzione è stata abolita nel 1988 ci sono voluti ben 23 anni per trasferire il potere a un governo eletto.
Allo stesso tempo, però, la costituzione in vigore, come è stato dimostrato dai recenti eventi, è, da diverse prospettive, intrinsecamente antidemocratica. Il fatto che quanto avvenuto sia stato giustificato in base alla stessa carta costituzionale, non importa quanto subdoli siano i mezzi o quanto inconsistente la giustificazione, servirà solo a legittimare il colpo di stato.
I militari potranno sostenere che le loro mosse siano legali. Ciò, inoltre, renderà più semplice ai paesi che non si preoccupano del fatto che il Myanmar abbia un governo democraticamente eletto – tipo la Cina – di sostenere il nuovo regime di fronte alle inevitabili richieste di sanzioni avanzate dalla comunità internazionale.
Molti erano convinti che un colpo di stato fosse ormai improbabile in Birmania, dato che l’attuale sistema è stato progettato dai militari per mantenere il potere evitando al contempo di assumersi qualunque responsabilità di governo.
La situazione, tuttavia, si è modificata repentinamente negli ultimi giorni: i militari si sono rifiutati di escludere la possibilità di un colpo di stato e, successivamente, il generale Min Aung Hlaing – capo di stato e comandante in capo delle forze armate – ha dichiarato che avrebbe potuto abolire l’attuale costituzione, se necessario.
Di fronte alle preoccupazioni dimostrate immediatamente dalla comunità internazionale il Tatmadaw si è schermito, sostenendo che la responsabilità fosse attribuibile ai giornalisti, che avevano mal compreso le dichiarazioni di Min Aung Hlaing. Domenica scorsa, poi, in una dichiarazione insolitamente ben scritta indirizzata ai governi occidentali, i militari hanno affermato di “trovare inaccettabile il processo elettorale del 2020”.
Nonostante l’insistenza del Tatmadaw, nessuno ha mai preso sul serio le accuse di frode e quindi tutta questa macchinazione veniva vista come una copertura per le reali preoccupazioni dei militari.
Questa è una crisi causata dall’ansia di Min Aung Hlaing per il suo futuro; per legge, egli – uno degli uomini più ricercati del pianeta a causa del suo ruolo nel genocidio ai danni dei Rohingya – avrebbe dovuto ritirarsi a metà del 2021, quando compirà 65 anni. Aveva la concreta possibilità di raggiungere la presidenza del paese ma, data la vittoria schiacciante della Nld, gli sono rimaste pochissime possibilità che ciò accada.
Le reazioni internazionali
La reazione dei gruppi per i diritti umani e della comunità internazionale non si è fatta attendere, con la promessa degli Stati Uniti di «agire contro i responsabili se questo percorso non verrà invertito». Il portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha detto che gli Stati Uniti sono “allarmati” per l’arresto di Aung San Suu Kyi e “altri funzionari civili”.
I parlamentari Asean per i diritti umani hanno definito gli sviluppi “uno schiaffo in faccia a tutti i cittadini del Myanmar che sono andati a votare alle elezioni di novembre”, chiedendo ai militari di avere rispetto per la volontà del popolo.
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