Il tragico conflitto a Gaza ha confermato un dato culturale già consolidato da anni: dall’11 settembre in poi, la difesa di Israele e, almeno a parole, dell’identità ebraica è appannaggio della destra. In quanto ebreo, respingo queste manovre di avvicinamento
Il tragico conflitto a Gaza, che fatica a trovare soluzioni a causa dell’impossibilità di trattare di Netanyahu e Hamas, ha confermato un dato culturale già consolidato da anni: dall’11 settembre in poi, la difesa di Israele e, almeno a parole, dell’identità ebraica è appannaggio della destra, mentre la sinistra radicale, tanto chiassosa quanto ininfluente alle urne, è rimasta ancorata a categorie terzomondiste e alla retorica di Israele come punta di lancia dell’imperialismo occidentale.
Mai falso storico fu più grande, visto che lo stato ebraico nasce come movimento antimperiale e non ha mancato di usare persino l’arma del terrorismo contro i colonialisti britannici. Io non rappresento nessuno se non me stesso. Non ho incarichi comunitari, né, tantomeno, velleità politiche interne al mondo ebraico, ma scrivo questo articolo proprio in quanto ebreo. Respingo nel modo più categorico queste manovre di avvicinamento. Le respingo perché sono manovre pelose, tutte nate e prosperate in funzione antislamica, quando la retorica da scontro di civiltà serviva a prendere voti quanto l’uscita dall’euro. Grazie, ma proprio non mi fido di chi mi usa per propri calcoli elettorali.
A partire dalla legge sulle restrizioni alla macellazione rituale sostenuta da Geert Wilders nel lontano 2009, ho già visto come tutto questo amore sfumi in un attimo quando si tratta di scegliere fra poche migliaia di ebrei e i milioni di voti che porta l’odio antimusulmano. Mi sento, invece, vicino alle comunità islamiche europee e alle loro battaglie in nome del rispetto delle minoranze e della libertà religiosa. Respingo la mano tesa della destra perché, per i miei gusti, è un po’ troppo tesa. Sapranno loro come conciliare questo improvviso amore per Israele e per l’ebraismo con le file di nostalgici e le varie teste del duce che custodiscono gelosamente nelle proprie case e nei loro uffici. Divise naziste comprese.
Troppo ambiguo tenere il piede in due scarpe, prima o poi dovrete rendere conto a questa base identitaria che ancora esprime la gran parte della vostra classe dirigente. FdI docet, con i vari La Russa, Lollobrigida e chi più ne ha più ne metta. Ancor di più, respingo queste avance “destrorse” perché riducono l’ebraismo a discarica: l’odio che attirate ricade su di noi, rafforzando il pregiudizio dell’ebraismo come identità rigida e immobile nel tempo.
Tutto il contrario. Un antico midrash insegna che i Dieci Comandamenti siano stati offerti ad altri popoli, ma solo quello ebraico li ha accettati, dimostrandosi disponibile a emanciparsi dalla propria condizione presente. Se l’identità ebraica è stata immobile è perché in diaspora ti puoi solo conservare, mai sviluppare. Si può dire che la sua immobilità corrisponda alla caparbietà con cui si è dimostrata fedele all’antica promessa di cambiamento.
La sfiducia verso la destra, per il suo passato e per il suo presente, non allontana, anzi accentua, il sentimento di abbandono provocato dalle posizioni assunte dalla sinistra europea, che spesso recita gli stessi slogan della più retriva retorica araba nella più assoluta inconsapevolezza.
La realtà che emerge da dopo il 7 ottobre è che l’Europa non ha mai affrontato la cosiddetta «questione ebraica», nemmeno negli anni successivi alla Shoà. A parte negli ambienti cattolici postconciliari, dove il tema è stato preso di petto, nessuno ha voluto mettere in discussione i fondamenti dell’antigiudaismo occidentale, che sempre ha visto con sospetto la resistenza all’assimilazione di questa identità “separata” ed è stato sfruttato in piena coscienza dai nazisti.
Un’insofferenza verso la specificità ebraica che trova, oggi più che mai, nuova linfa nell’antisionismo, magari nell’elegante (perché democraticissima) idea di uno stato binazionale, che condannerebbe gli ebrei al loro eterno destino di popolo errante, precludendo loro la possibilità di avere un luogo nel mondo dove poter sviluppare la propria cultura.
Un classico di quell’astratto egualitarismo occidentale, che ha sempre avuto come appendice l’odio antiebraico, sia nella versione ellenistica che cristiana e, infine, illuminista. Ciò non mi porta, però, verso l’abbraccio mortifero della destra, forte della distinzione spinoziana fra sapiente e ignorante, dove quest’ultimo è colui che non agisce, ma reagisce alla posizione dell’altro.
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