I militanti di Ultima generazione definiscono le loro azioni come esempi di disobbedienza civile. Ma questo è scorretto. Non ci sono leggi ingiuste che gli attivisti trasgrediscono: le loro azioni non sono come quelle di Rosa Parks. I membri di Ultima generazione violano leggi che non contestano (come le leggi sul traffico o sulla protezione dei monumenti), per invocare leggi che non ci sono
Gli attivisti di Ultima generazione hanno scelto il loro nome per alludere al rischio che il cambiamento climatico causi l’estinzione del genere umano, e al tempo stesso per significare che siamo di fronte all’ultimo momento di opportunità per evitarlo: è l’ultima generazione che potrebbe vivere, ma anche l’ultima generazione che può fare qualcosa per fermare la catastrofe.
Ultima generazione è un movimento rivoluzionario, non tanto perché si prefigge di rovesciare un regime politico, quanto perché si proietta nel tempo della storia, con un’acuta coscienza di quel che è avvenuto e potrebbe avvenire. Forse non ci sono leggi della storia. Ma ormai le leggi della storia sono quelle della fisica che determina cambiamenti climatici pericolosi a causa delle attività umane. Le leggi della fisica del clima diventano cause di mutamento storico: possono provocare la fine del nostro modello di civiltà e l’estinzione del genere umano. L’attivismo climatico è l’avanguardia consapevole del motore della storia.
La logica di rivolta
Eppure, nella ripetitività delle sue azioni (occupazioni di strade ad alta circolazione, imbrattamento di monumenti, interruzione e sabotaggio di eventi culturali, come nel caso della recente azione all’Accademia di Santa Cecilia), Ultima generazione è prigioniera di una logica di rivolta, più che di rivoluzione.
Una logica nella quale, come sostiene Furio Jesi in Spartakus. Simbologia della rivolta (Bollati Boringhieri, 2000), il tempo storico viene sospeso e vale solo il momento presente. Si smette di pensare a lungo termine, agli obiettivi di lungo periodo, e diventa importante solo l’azione momentanea, senza alcuna considerazione delle conseguenze.
Jesi prende a esempio di questa logica e dei suoi esiti nefasti la rivolta spartachista del 1919, quando gli esponenti della Lega spartachista decisero di abbandonare la lotta elettorale (non seguendo il parere di Rosa Luxemburg), per assaltare direttamente il governo socialdemocratico della Repubblica di Weimar.
La loro convinzione era che «la conquista dei simboli del potere avrebbe necessariamente determinato la vittoria totale» (p. 22) e che la «vittoria fosse già implicita nella battaglia» (p. 44). Si sa come finì: la rivolta fu sedata nel sangue e Rosa Luxemburg uccisa. Era una fiammata, non un lavoro paziente per mutare la tendenza della storia.
Non era la rivoluzione dal basso che auspicava Luxemburg, era un’iniziativa di dirigenti poco accorti. Ed era, spiegava Jesi, una pericolosa riproduzione della simbologia del potere capitalistico. Anche nel caso di Ultima generazione, la logica dell’happening e del branding affiora inaspettatamente nelle azioni. Basta guardare le foto sui social e i volti spesso molto telegenici degli attivisti.
La rivoluzione necessaria
Nel contesto del cambiamento climatico, la rivoluzione serve anche se non si vuole abbattere la democrazia liberale. Il clima cambia per via di processi produttivi che, pur non essenziali al capitalismo (si può concepire un capitalismo delle rinnovabili), ne sono stati sinora la grande parte.
Le politiche di mitigazione e adattamento richiedono una rivoluzione dei modi di produzione e degli stili di vita: pur a malincuore, pur con molti tentativi di frenare, ormai lo riconoscono molti governi, molte aziende, molte società civili. Ma la rivoluzione serve perché le catene causali che portano al cambiamento climatico sono multiformi e non lineari: sono il prodotto di azioni comuni (farsi una doccia, mangiare carne, comprare prodotti provenienti da lontano, usare mezzi di trasporto).
Evitare queste azioni coinvolge milioni di persone, che non si convinceranno a cambiare radicalmente le loro abitudini quotidiane perché un concerto viene interrotto, una strada bloccata, un monumento o un palazzo imbrattato.
Disobbedienza civile
I militanti di Ultima generazione definiscono spesso le loro azioni come esempi di disobbedienza civile. Ma questo è scorretto. Non ci sono leggi ingiuste che gli attivisti trasgrediscono: le loro azioni non sono come quelle di Rosa Parks o di chi aiuta a commettere atti di eutanasia attiva. I membri di Ultima generazione violano leggi che non contestano (come le leggi sul traffico o sulla protezione dei monumenti), per invocare leggi che non ci sono: leggi che sanciscano politiche di mitigazione e adattamento migliori.
È anche per questa ragione che le politiche di repressione che Ultima generazione subisce sono doppiamente assurde. Questi militanti non sono disobbedienti veri e propri, che di solito accettano la pena per farne uno strumento di sensibilizzazione nei confronti della legge ingiusta. Ultima generazione è un’avanguardia della società civile che esprime un pensiero diffuso sui rischi che corre il pianeta Terra. Imprigionarli significa ledere la libertà di pensiero e contraddire politiche che, ufficialmente, molti governi sostengono.
Molti dei cittadini comuni che protestano quando i membri di Ultima generazione bloccano le loro auto forse, rispondendo ai sondaggi, esprimerebbero preoccupazioni per il futuro del pianeta. Questo è il paradosso in cui Ultima generazione si sta cacciando. I mezzi che usa per invocare un giusto cambiamento erano laterali e inadatti sin dall’inizio, ma ora rischiano di diventare controproducenti. L’estetismo della rivolta è dietro l’angolo.
La rivolta spartachista rinforzò il potere che attaccava e potenzialmente favorì l’ascesa del nazismo. Lo stesso rischio possono correrlo i movimenti della giustizia climatica. Ma una materia urgente come le politiche contro il cambiamento climatico non ammette deviazioni. Il calcolo delle conseguenze e la lucidità strategica sono essenziali.
Alla vigilia di elezioni cruciali come le europee e dopo una Cop talmente sfuggente che ancora non è chiaro se siamo di fronte a una grande vittoria o alla peggiore sconfitta, il ruolo della società civile è essenziale per orientare i governi. Se Rosa Luxemburg fosse viva, consiglierebbe ancora adesso di candidarsi alle elezioni, in questo caso alle elezioni europee. I membri di Ultima generazione e i partiti che sostengono l’ambientalismo dovrebbero seguire questo consiglio.
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