- La riforma fiscale disegnata sotto il governo Draghi, senza praticamente opposizione avrebbe superato il sistema del regime forfettario, così come la cedolare secca degli immobili. L’opposizione alla riforma è arrivata solo quando alcuni partiti che pure l’avevano votata se ne sono resi conto.
- I primi provvedimenti di Meloni, il regime forfettario e la flat tax incrementale, si situano nel lungo solco dei provvedimenti fiscali, se non proprio ad personam, previsti a beneficio di pochi e specifici sottogruppi di contribuenti, e neppure di coloro in condizione di particolare bisogno o merito.
- Questa congerie di provvedimenti ha reso il nostro sistema fiscale, e in particolare l’Irpef, un insieme disarticolato di regimi speciali, sostitutivi e cedolari che è stato efficacemente definito “fisco à la carte”. Ma il problema rimane e Meloni dovrà decidere se continuare a disarticolare il fisco italiano.
In questi giorni molte analisi si soffermano sulle similitudini e sulle differenze tra le politiche economiche del governo Draghi e le prime decisioni del governo Meloni. Uno dei terreni su cui si evidenzia già una rilevante differenza è quello fiscale.
Tra i primi provvedimenti del governo Meloni vi è l’innalzamento della soglia di fatturato per l’applicazione del cosiddetto “regime forfettario” che prevede l’applicazione di un’imposta, con aliquota pari al 15 per cento (la cosiddetta flat tax), sostitutiva delle imposte dirette e dell’Iva per quei lavoratori autonomi e imprenditori individuali che soddisfino un insieme di requisiti. Tra questi requisiti il principale – sebbene non l’unico - consiste nella dichiarazione di un fatturato non superiore a un valore massimo, a oggi pari a 65 mila euro che aumenterà a 85mila euro a partire dal 2023. Si tratta di una decisione che si pone in continuità con la legge di bilancio del governo Conte 1, che ha introdotto il regime nelle sue caratteristiche attuali prevedendone la successiva estensione fino a 100mila euro, estensione poi non entrata in vigore per la caduta del governo stesso. Verrebbe inoltre, da quanto risulta, introdotto un regime alternativo, di cosiddetta flat tax incrementale, che prevede un’aliquota ridotta per i maggiori redditi dichiarati, rispetto a un periodo precedente, per i soli lavoratori autonomi e dagli imprenditori individuali che non accedono – o che non possano accedere - al regime forfettario.
Benefici per pochi
Meno pos, più voucher: l’Italia di Meloni è delle microimprese
Questi due provvedimenti si situano nel lungo solco – ben arato da tanti governi della seconda repubblica- dei provvedimenti fiscali, se non proprio ad personam, previsti a beneficio di pochi e specifici sottogruppi di contribuenti, e neppure di coloro in condizione di particolare bisogno o merito. Questa congerie di provvedimenti ha reso il nostro sistema fiscale, e in particolare l’Irpef, un insieme disarticolato di regimi speciali, sostitutivi e cedolari che è stato efficacemente definito “fisco à la carte”.
Il governo Draghi aveva approvato, circa un anno fa, un disegno di legge di riforma del fisco che ambiva a razionalizzare il sistema fiscale nel suo complesso. Per l’Irpef, in particolare, si prevedeva l’adozione del principio duale, secondo cui i redditi da capitale devono essere tassati a un’unica aliquota (proporzionale) mentre i redditi da lavoro e i profitti individuali devono essere tassati con imposta progressiva. È un principio discutibile sul piano dell’equità verticale, ma efficiente e trasparente. Quel principio era stato del resto richiesto dallo stesso parlamento con un documento parlamentare votato dalla maggioranza che sosteneva quel governo (a parte Leu) ed era, a sua volta, coerente con la maggioranza dei pareri espressi dagli esperti – di diversa estrazione culturale e politica - auditi nel corso dei lavori parlamentari. Anche coloro che non avevano esplicitamente dichiarato una preferenza per il sistema duale avevano comunque avvertito della necessità di ridare coerenza e sistematicità all’Irpef.
Il disegno di legge delega venne poi approvato dal consiglio dei ministri senza alcuna opposizione. Opposizione che invece cominciò a manifestarsi successivamente. In particolare, la logica conseguenza del duale sarebbe stata il riassorbimento dei regimi agevolativi, come la cedolare secca sugli immobili nonché proprio del regime forfettario, che avrebbe dovuto essere scorporato nella parte di capitale e in quella da lavoro o profitto. Questo era ovvio a chiunque si fosse minimamente documentato sul principio duale, cosa che era lecito aspettarsi da un parlamentare, e ancora di più componente di una commissione finanze o bilancio. E invece nei primi mesi del 2023, quando la riforma doveva essere calendarizzata, due partiti della precedente maggioranza – Lega e Cinque stelle -, si opposero al riassorbimento del regime forfettario, chiedendone, anzi, l’estensione almeno temporanea. L’opposizione interna alla maggioranza si allargò ad altri aspetti della riforma fino a svuotarla completamente di contenuto e di senso.
A quanto pare il governo ha intenzione di presentare un nuovo disegno di legge di riforma del fisco già a gennaio. È lecito chiedersi – a seguito di questi primi provvedimenti - se, ed eventualmente come, si ritiene di ridare coerenza all’Irpef – e al sistema fiscale nel suo insieme - o se si ritiene di dover proseguire sulla strada di bonus più o meno mascherati a favore di questa o quella constituency elettorale.
© Riproduzione riservata