Il ministro posiziona l’Italia dalla parte di chi, come l’Arabia Saudita, vuole attenuare, rallentare, annacquare la decarbonizzazione. La sua inazione e la sua incompetenza sono una macchia sui molti italiani che si impegnano per garantire un mondo vivibile alle generazioni future
A leggere le parole del ministro Gilberto Pichetto Fratin in una recente intervista su Repubblica e a considerare la sua risibile partecipazione alla Cop28 (raccontata su questo giornale da Ferdinando Cotugno) viene la tentazione di dire “Not in Our Name”, come spesso hanno fatto i cittadini che vogliono chiamarsi fuori dalla responsabilità per le malefatte del governo.
Ma sarebbe sbagliato. Anzi, sarebbe seguire il ministro nel suo errore. A parte le mancanze di competenza, Pichetto Fratin schiera l’Italia dalla parte sbagliata, con argomentazioni sbagliate. Schiera l’Italia dalla parte di chi, come l’Arabia Saudita, vuole attenuare, rallentare, annacquare la decarbonizzazione.
E lo fa menzionando una presunta posizione specifica dell’Italia, con argomentazioni altalenanti e fallaci. Innanzitutto, la questione del nucleare, che non rappresenta, almeno in assenza di innovazioni tecnologiche ben al di là da venire, un’alternativa plausibile.
Lo stato non costruirà reattori nucleari, ma lo faranno le aziende, dice il ministro, ricorrendo a piccoli reattori. Non si capisce la differenza fra centrali di Stato e centrali private.
Il phase-out dev’essere graduale, e comunque l’Italia dipende molto dai fossili, dice sempre il ministro. L’elefante nella stanza è Eni, di cui il ministro non può che parlare: lì compare la perla della neutralità carbonica, che equivale all’uso del gas e all’idea dell’Italia hub del gas.
Un trucco da quattro soldi: il gas non è neutrale in termini di emissioni ed essere neutrali rispetto a una cosa pericolosa come emettere è come essere neutrali nei confronti delle rapine a mano armata. Le imprese energivore debbono essere aiutate, magari con la cattura e stoccaggio di CO2, dice ancora Pichetto Fratin.
Peccato che la cattura e stoccaggio non solo sia inefficiente, come spiega Cotugno sempre su Domani, ma sia anche moralmente iniqua, dato che scarica il problema sulle generazioni future.
Insomma, il tentativo è sempre di negare l’evidenza, con trucchi spesso solo verbali. Il cambiamento climatico è un fenomeno globale che deriva dagli effetti cumulati delle azioni di tutti e avrà conseguenze che ricadranno su tutti.
Cercare di svicolare invocando eccezioni, facendo del not in my backyard un principio di azione politica, è miope e del tutto inefficace. L’eventuale inazione italiana avrà conseguenze su tutti i cittadini del mondo, perché le emissioni vanno nell’atmosfera, e non hanno passaporti né rispettano le frontiere.
L’eventuale inazione degli altri, magari aiutata dalle resistenze di persone come Pichetto Fratin, avrà conseguenze su di noi: alluvioni e altri disastri colpiranno il nostro territorio, e non terranno certo conto delle presunte eccezioni invocate da Pichetto Fratin.
L’unica cosa che invece riguarda esclusivamente l’Italia e noi cittadini italiani è la reputazione e l’immagine del paese. Non possiamo dire “Not in Our Name” perché questo governo e il ministro ci ledono come cittadini del mondo, come progenitori delle generazioni future, come partecipanti all’impresa collettiva di salvare il pianeta.
Il ministro Pichetto Fratin parla a nostro nome perché fa parte di un governo regolarmente eletto, che rappresenta anche chi non lo ha votato, come avviene in democrazia. La sua inazione e la sua incompetenza sono una macchia sui molti italiani – scienziati naturali e sociali, attivisti, cittadini – che si impegnano per garantire un mondo vivibile alle generazioni future, in Italia e altrove.
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