- Il rinvio proposto dai ministri Giancarlo Giorgetti e Roberto Cingolani offre una risposta inadeguata alle paure di un sistema industriale e di un mondo del lavoro che si trova a dover cambiare profondamente per sopravvivere.
- Tutte le principali aziende delle automotive, comprese Stellantis, hanno già deciso di smettere la vendita di auto a benzina e diesel da prima del 2035, con il rinvio non ai aiutano le imprese italiane della componentistica.
- È di supporto alla ricerca e all’innovazione che ha bisogno il sistema industriale italiano e di scelte chiare per cogliere le opportunità di creazione di nuove imprese nella elettrificazione e digitalizzazione della mobilità.
Rinviare al 2040 il passaggio alla mobilità a zero emissioni. Tutelare l’interesse nazionale e delle imprese, dei cittadini più poveri contro un salto nel buio costoso e inutile. L’iniziativa politica che ha visto protagonista l’Italia con Bulgaria, Slovacchia e Romania – il Portogallo si è rapidamente sfilato – per provare a sabotare la decisione europea dello stop alla vendita di auto diesel e a benzina dal 2035, nel prossimo consiglio ambiente del 28 giugno, esprime un’idea sbagliata ma diffusa delle preoccupazioni intorno alla transizione ecologica.
Per questo non va sottovalutata visto che sarà il cuore delle sfide in un mondo dove la crisi climatica e le difficoltà di accesso alle risorse saranno dominanti. Il rinvio punta a dare risposte alle paure di un sistema industriale e di un mondo del lavoro che si trova a dover cambiare profondamente per sopravvivere.
Per questo bisogna evitare di banalizzare le posizioni, e non basterà capire chi la vincerà dentro il governo tra la coppia Giorgetti-Cingolani o quella Giovannini-Orlando, che non condividono il rinvio, ma piuttosto entrare nelle questioni e discutere delle politiche utili a non uscirne come paese con le ossa rotta.
La strada intrapresa dalle aziende
La prima domanda che occorre porsi è se davvero il rinvio sia la risposta oggi più efficace e giusta per il nostro paese. La rivista Quattroruote ha pubblicato una tabella con le aziende automobilistiche che contano al 2035 di terminare le vendite di auto a combustione interna in Europa.
Ci troviamo Volkswagen, Toyota, Hiunday. Tutte le altre prevedono di farlo prima e tra queste i marchi che fanno capo al gruppo Stellantis, che prevede di investire trenta miliardi in questa transizione, con cinque gigafactory da costruire per le batterie di cui una a Termoli.
Ma il problema italiano, viene detto, sta nello straordinario sistema di imprese della componentistica che oggi rifornisce le imprese europee con i motori “tradizionali”. Ma se quel mondo ha già deciso di scegliere l’elettrico non è piuttosto di supporto nel cambiare con ricerca, formazione e innovazione che hanno bisogno visto che si troverebbero senza clienti?
Il rischio è che in questo scontro non ci si accorga che sta avvenendo un ennesimo passaggio darwiniano di selezione tra chi ha risorse, reti di relazioni e ricerca per entrare nella transizione e ripensarsi – sono tanti gli esempi di chi lo sta già facendo – e chi rischia di chiudere.
E arriviamo alle politiche che vanno messe in campo per creare opportunità nel nuovo scenario che si sta aprendo con la decarbonizzazione dei sistemi di mobilità. Invece di sabotare le decisioni di Bruxelles e guardare dentro i nostri piccoli confini dei microcosmi di imprese, dovremmo sfidare l’Europa a fare di più per garantire l’accesso a quei nuovi materiali che sono indispensabili per le batterie attraverso filiere sostenibili da un punto di vista sociale e ambientale – come ha ben raccontato su queste pagine Ferdinando Cotugno – per far diventare il continente il laboratorio del recupero, riuso, riciclo e ridurre così la dipendenza dalle importazioni e i prezzi.
In questo nuovo scenario o si lavora assieme in progetti internazionali di ricerca e sviluppo o si perde tutti. Anche dentro i nostri confini si può fare molto uscendo dalla logica del dare qualcosa a tutti per non scontentare nessuno, come si continua a fare con gli incentivi per l’acquisto di auto.
La differenza con la Germania e gli altri paesi europei è che da noi – anche nel Pnrr – manca un segnale chiaro che la transizione è cominciata e che non si torna indietro, con risorse pubbliche indirizzate al cambio di modello industriale.
Le opportunità
Si possono aprire opportunità importanti per un paese come l’Italia nella decarbonizzazione dei trasporti ma dobbiamo raccontare per intero il futuro che ci aspetta. Perché tra qualche anno la mobilità sarà molto diversa da quella che conosciamo oggi.
Si venderanno molte meno auto private e ne dovranno circolare moltissime di meno e sempre più a zero emissioni. E si dovrà ripensare profondamente la logistica merci e la mobilità all’interno delle città diventerà sempre più integrata tra pubblica, in condivisione e a chiamata, ciclabile e pedonale.
Innovazione industriale e digitalizzazione andranno sempre di più a braccetto e se si guarda a quello che sta avvenendo nella elettrificazione della filiera del trasporto pubblico, in quello delle merci e di raccolta rifiuti nelle città del mondo ci si rende conto delle opportunità che si stanno aprendo di creazione di nuove imprese, con più lavoro e innovazioni di filiera.
Senza contare l’aria pulita che finalmente potrebbe tornare in pianura padana e nelle grandi città. Siamo ancora in tempo per costruire un modello italiano per accompagnare questi processi ma dobbiamo sapere che la finestra si sta chiudendo. È di idee e politiche per non perdere queste opportunità che dovremmo discutere, altro che di ennesimi rinvii.
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