Le entrate tributarie nel 2024 stanno crescendo più del previsto. E questa è una buona notizia per i conti pubblici italiani, caratterizzati da evidenti squilibri. La ragione della maggiore crescita sta essenzialmente nell’aumento delle imposte dirette, di quelle derivanti dal lavoro dipendente. Questo aumento superiore all’atteso dipende da una maggiore occupazione e dall’aumento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, grazie ai rinnovi dei contratti che hanno recuperato tutto o parte dell’inflazione passata.

Poiché il lavoro dipendente (come le pensioni) è tassato con un sistema progressivo e alla fonte, è evidente che un aumento di questi redditi genera un incremento delle entrate tributarie consistente e immediato. A fronte di tali andamenti, un legislatore accorto dovrebbe favorire, attraverso anche il sistema fiscale, il lavoro dipendente rispetto al lavoro autonomo che ha maggiori capacità di sottrarsi al fisco attraverso forme di elusione (spese personali contabilizzate come spese produttive e altri sistemi) o vere e proprie evasioni attraverso l’occultamento del proprio reddito, ricorrendo ai pagamenti in contanti.

D’altra parte, le stesse analisi del Mef che riguardano il fenomeno dell’evasione fiscale assegnano al lavoro autonomo il primato dell’evasione, come per altro avviene anche in altri paesi (dove si esercita un controllo più severo su questi redditi e il ricorso al contante è osteggiato dalle regolamentazioni e dai comportamenti spontanei delle persone). In Italia avviene il contrario: il sistema tributario resta progressivo per i redditi tassati alla fonte (salari e pensioni) senza neanche tenere conto dell’effetto dell’inflazione (fiscal drag), mentre al lavoro autonomo è stato attribuito un regime proporzionale di favore.

I redditi da lavoro autonomo sono tassati in via forfettaria (15 per cento) con una tassa piatta (Flat Tax) fino a 80.000 euro di fatturato annuo. La Lega sta spingendo per portare a 100mila euro l’anno questo fatturato, sostenendo che così si aiuta la classe media, come se solo i lavoratori autonomi fossero classe media.

Una simile sperequazione impositiva avvantaggia il lavoro autonomo e condanna quello dipendente, al punto che nell’ultima rilevazione sull’occupazione in Italia sono scesi i lavoratori dipendenti e sono aumentati quelli autonomi. Una sostituzione che ha riguardato soprattutto i lavoratori a tempo determinato: segno che questi lavoratori precari hanno preferito (e con loro i datori di lavoro) trasformare i loro contratti da lavoro dipendente a partite Iva, sottraendosi così al fisco.

Ecco che, così, il nostro sistema fiscale sega il ramo su cui è seduta la nostra economia (e noi con lei) perché favorisce le attività che meno partecipano al finanziamento della spesa pubblica e perciò contribuiscono a determinare un disavanzo e un debito pubblico crescente, mentre si deteriorano i servizi collettivi e si degrada il sistema infrastrutturale del paese con grave danno per tutti noi.

Senza alcun intento ironico, si sostiene che in questa maniera si può ridurre l’evasione, sia perché molti lavoratori autonomi si mettono in regola perché attratti dal trattamento di favore, sia perché, una volta aderito al sistema premiale, il lavoratore autonomo è “in regola” e quindi esce dall’area dell’evasione. Ha un senso continuare a premiare chi evade le tasse affermando che se riduciamo il loro contributo questi si mettono in regola? Ci sarà meno evasione ma anche molte meno entrate fiscali e, quindi, più squilibri di finanza pubblica e meno servizi.

Ovviamente c’è sempre chi dirà che basta ridurre gli sprechi della spesa pubblica per contenere il disavanzo pubblico anche abbassando le tasse. Salvo poi scoprire che gli sprechi denunciati da alcuni sono sempre quelli della spesa “degli altri”, perché se si tocca la spesa che riguarda loro allora si alzano alte le grida e ci si rifiuta di pagare le tasse.

Un sistema fiscale eguale per tutti che non faccia favori a nessuno è più giusto e più efficiente. Tutto il contrario dell’attuale sistema fiscale italiano, disegnato su misura per ogni categoria di percettori di reddito, in funzione del loro peso politico nei confronti del governo.

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