Presidenzialismo e autonomia: l’accordo nella maggioranza sulle riforme rischia di sfregiare le nostre istituzioni e di gravare come una pietra tombale sul destino dell’Italia. Il presidenzialismo è un vecchio cavallo di battaglia di Meloni: addirittura dai tempi del Movimento Sociale Italiano, risale ad Almirante. Punto apicale di una visione maggioritaria che per un periodo ha affascinato anche la sinistra, negli ultimi anni, come conseguenza dell’aumento delle disuguaglianze economiche e delle divergenze culturali, ha mostrato in Occidente enormi limiti, mettendo in pericolo la stessa democrazia liberale.
I principali paesi presidenzialisti sono gli Stati Uniti, la Francia, il Brasile: in tutti e tre abbiamo registrato conflitti politici drammatici che, nei casi degli Usa e del Brasile, hanno rischiato addirittura di far crollare l’edificio democratico. Per non dire della Turchia, o della Russia. Il punto è che con il presidenzialismo viene meno la massima figura di garanzia: la lotta politica investe direttamente il capo dello Stato.
In un paese diviso come l’Italia, sia sul piano economico-sociale che su quello politico-culturale (non c’è accordo nemmeno sull’antifascismo, né sul berlusconismo), e che non ha una tradizione di democrazia liberale antica come gli Usa o la Francia, avremmo anche il presidente della Repubblica ridotto a parte in causa, e come tale percepito. Tutto diventerebbe possibile: le porte della democrazia illiberale sarebbero spalancate. Si capisce perché è un cavallo di battaglia storico della destra estrema.
L’autonomia è la proposta bandiera della Lega. Tutti gli studi, e il buon senso, e l’esperienza storica dicono che aumenterà ulteriormente le disuguaglianze, perché toglierà risorse al Sud senza introdurre, peraltro, alcun correttivo per la mala gestione. Rischia di danneggiare perfino il sistema produttivo del Nord, che finirà frammentato in una pluralità di regolamenti e politiche diverse, dall’energia alle infrastrutture all’industria.
Beninteso, l’Italia ha bisogno di riforme. Il premierato, con la possibilità di dimissionare i singoli ministri e la sfiducia costruttiva, affiancato come in Germania a una legge proporzionale, può migliorare di molto la governabilità, mantenendo al contempo la funzione di garanzia del Capo dello Stato. Similmente, a livello regionale occorre favorire trasparenza e responsabilità, tornando ad attribuire al livello centrale quello che le regioni non riescono a fare bene, e le sinergie fra i sistemi produttivi con degli standard comuni: il contrario dell’autonomia. Per far fallire il progetto del governo, le opposizioni dovrebbero unirsi su queste proposte, in una visione coerente volta a migliorare le nostre istituzioni nazionali e locali, e portarle avanti senza cedimenti.
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