- La sorpresa della vittoria di Schlein ci deve far interrogare su come è stata valutata e su come le categorie tradizionali sono divenute ormai incapaci di catturare la realtà.
- Chiamare pragmatico Bonaccini ha nascosto un’attitudine compromissoria, mentre chiamare identitaria e movimentista Schlein non ha colto il bisogno di coerenza verso i principi a cui il PD in teoria si richiamava
- L’essere chiari verso i principi definitori non è necessariamente un vezzo minoritario, mentre l’attitudine al compromesso ha indebolito la capacità negoziale del PD
Pochi si aspettavano la vittoria di Elly Schlein, un ribaltone da parte di simpatizzanti ed elettori abituati a seguire il partito fino all’irrilevanza elettorale. Se ora si moltiplicano coloro che avevano previsto o già sostenuto la vittoria di Schlein, non hanno mancato di far sentire la loro voce le cassandre. Gli sconfitti dentro il Pd e i centristi fuori lamentano il rischio di un Partito democratico appiattito su Giuseppe Conte. Da destra, invece, risuona il solito mantra di un Pd pura espressione del popolo della Ztl. Paradosso delle accuse: Schlein troppo di sinistra per il centro, troppo elitaria per la destra.
Al di là del gusto della polemica partigiana è forse il caso di chiarire qualche equivoco di posizionamento. È stato fatto notare che le dichiarazioni programmatiche di Stefano Bonaccini e Schlein erano sostanzialmente sovrapponibili. Quindi la differenza fondamentale l’ha fatta la persona. Sebbene ciò sia una tendenza deprecabile degli ultimi decenni, gli elettori del Pd non sono sempre stati vittime della personalizzazione, a parte il periodo renziano.
Ma nel caso in questione la valutazione della persona era l’unico criterio affidabile. Di fronte a un candidato che, oltre ad essere vicino a Matteo Renzi, ha sostenuto l’autonomia differenziata e l’aumento della privatizzazione della sanità, qualcuno ha ancora avuto il coraggio (l’illusione) di definire Bonaccini erede del Partito comunista e saldamente socialdemocratico. In mancanza di meglio Schlein è stata definita troppo radicale, espressione di una sinistra identitaria.
Le etichette definitorie sono necessariamente imperfette, ma denotano anche una pigrizia o malafede intellettuale incapace di rappresentare non tanto le dichiarazioni delle persone ma le loro effettive iniziative politiche.
Compromesso fine a sé stesso
Nella costruzione dei personaggi l’etichetta di pragmatico per Bonaccini ha coperto la pratica di una ricerca del potere e del compromesso fine a sé stessa. Invece l’etichetta di identitaria per Schlein è stata fatta coincidere con l’essere di vocazione minoritaria. Ma il gioco di questi due termini ha pervertito il significato e la pratica delle questioni. Infatti, la mancanza di identità del Pd è stata denunciata anche da quelli che preferiscono il pragmatismo di Bonaccini. Non è chiaro, in questa logica, come si sarebbe potuta costruire un’identità sulla base del compromesso.
La politica si fa necessariamente coi compromessi, ma quest’ultimi hanno un senso se ammorbidiscono un principio valido ma irrealizzabile. Se invece sono il fine, non il mezzo, non possono nemmeno costituire un’identità. Lo stesso vale per le alleanze. Le elezioni si vincono con le alleanze, le quali però si fanno a partire da una base identitaria: cercare alleanze prima di definirsi è stato il giochino fallimentare e perverso del Pd degli ultimi quindici anni.
Anche le categorie di movimentista e di apparato hanno subito un’analoga deformazione prospettica. Se l’essere di apparato da parte di Bonaccini ha di fatto voluto dire cambiare posizioni e area (Bersani, Renzi e poi fautore di sé stesso), il movimentismo di Schlein è stato invece la ricerca di coerenza ad alcuni principi.
Non è il caso di ingigantire la purezza e le doti politiche della vincitrice. Non si sa se Schlein riuscirà nell’impresa di riunire un corpaccione di partito spaccato tra simpatizzanti e iscritti. E in tutta onestà si può dubitare che ne sia capace o che l’impresa sia possibile.
Ma, a prescindere dal risultato di questa nuova fase, la cosa salutare per il partito, per la sinistra e per la democrazia italiana sarà che al Pd sarà richiesto di prendere posizione su tante questioni specifiche (clima, migrazione, tassazione, lavoro...) che la dirigenza precedente aveva di fatto abbandonato.
L’attitudine compromissoria, in nome di un realismo malinteso e rinunciatario, ha fatto il gioco delle altre parti, costringendo il Pd a rincorrere il posizionamento altrui. In quest’ottica un Pd più identitario e di principio, lungi dal condannarlo alla debolezza minoritaria, potrebbe costringere gli altri a dover negoziare più di quanto hanno dovuto fare con un Pd compromissorio.
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