Ha fatto molto discutere una recente intervista dell’ex ministro della Cultura. Merita discuterne e merita domandarsi se, sulla sua soluzione, indiscutibilmente un po’ politicista, possa abbattersi lo sconvolgimento geopolitico. Esso potrebbe dare forza alle destre sovraniste europee, ma non è escluso – qui sta la scommessa – che, per converso, con la sua polarizzazione spinta, possa generare una positiva reazione/controspinta delle forze dell’arco democratico-costituzionale ed europeista
Ha fatto discutere una recente intervista di Dario Franceschini. Sia perché estimatori e detrattori convergono nel giudizio circa il suo professionismo politico e sul peso che egli ha sempre avuto nella vicenda del Pd. Sia perché la sua riflessione spiazza e spariglia rispetto al cosiddetto “schema Ulivo” ovvero all’idea che il centrosinistra debba proporsi di mettere a punto un programma di governo, un’alleanza politica stabile e concepita come tale dai partiti che vi partecipino, un candidato premier alternativo alla sperimentata coalizione di centrodestra.
Essendo io affezionato, anche per avervi partecipato, all’esperienza dell’Ulivo, d’istinto mi viene da reagire criticamente. E tuttavia penso sia doveroso rifletterci e approfondire il senso e le implicazioni della proposta.
Ulivo o non Ulivo
Franceschini propone alle forze di opposizione di limitarsi a una intesa elettorale sui collegi uninominali che costituiscono il 37 per cento della rappresentanza parlamentare e che ogni partito, per la parte proporzionale, si proponga in autonomia. Dunque senza programma, coalizione e candidato premier comune. Qualcuno ha reagito osservando che meglio sarebbe il collaudato schema Ulivo che propone ai cittadini elettori l’intero “pacchetto”. Ovvio, troppo ovvio.
Ma l’idea di Franceschini muove dalla convinzione che, piaccia o non piaccia, quello schema di gioco sia oggettivamente impraticabile, considerando in concreto condizione e orientamenti degli attori del campo alternativo alla destra e che intestardirsi nel perseguire quel traguardo – ripeto effettivamente più avanzato – paradossalmente acuisca le divisioni. Senza raggiungerlo.
Lo dimostrano le prime positive reazioni alla proposta sui due lati del campo: Carlo Calenda e Giuseppe Conte. Sul manifesto, Antonio Floridia si è esercitato in un calcolo: se si fosse adottato quello schema forse neppure nel 2022 la destra avrebbe vinto le elezioni. Come motivare la proposta? Se intendo bene, con l’idea di un “fronte repubblicano” che un po’ richiama, pur in un contesto politico-istituzionale diverso, quello praticato in Francia per arginare Marine Le Pen.
Certo, ci si dovrebbe predisporre a una campagna elettorale che sconta un limite: quello, menzionato, di non opporre alle destre il pacchetto intero programma-coalizione-premier. Il cui rovescio sarebbe tuttavia l’allargamento del fronte alternativo (e i suoi voti), che non necessariamente si presenterebbe diviso su tutto. Anche per temperare la competizione interna, esso potrebbe sottoscrivere una «carta dei valori costituzionali ed europeisti». Con il sottinteso che essi siano, come sono, a mio avviso, estranei se non avversati dalle destre.
Di più, nulla impedisce che, tra alcune delle forze progressiste, si possano siglare più impegnative intese programmatiche («priorità condivise») al modo delle «cooperazione rafforzate» tra stati in sede Ue. Dunque uno schema impernato su intese multilivello: il fronte più esteso dichiaratamente mirato a non fare vincere una destra a trazione sovranista e illiberale (non è obiettivo da disprezzare), un nucleo che condivida alcune «priorità programmatiche», infine i programmi specifici dei singoli partiti.
Tsunami Trump
In questa ottica, mirata a dare la più larga rappresentanza all’elettorato alternativo alle destre e con un Pd di sinistra (di governo) premiato dal consenso, avrebbe altresì un senso propiziare la costituzione di un centro di ispirazione liberal-democratica. In breve, si tratterebbe di praticare una tattica/strategia ispirata al paradigma proporzionale anche se una legge elettorale interamente proporzionale non c’è e alla forma di governo parlamentare per la quale le maggioranze si possono realizzare appunto in parlamento.
Merita chiedersi come, su questa soluzione, indiscutibilmente un po’ politicista, possa abbattersi lo tsunami Trump. Esso potrebbe dare forza alle destre sovraniste europee, ma non è escluso – qui sta la scommessa – che, per converso, con la sua polarizzazione spinta, possa generare una positiva reazione/controspinta delle forze dell’arco democratico-costituzionale ed europeista.
Perché è lecito e ragionevole sperare in un sussulto della coscienza forgiata al costituzionalismo occidentale che il trumpismo rigetta, sostenuta (quella coscienza) anche dai materiali interessi della economia europea palesemente minacciata dal nuovo corso americano. Lo so, l’accostamento è audace, ma mi viene d’istinto, dopo avere seguito con intima commozione la toccante cerimonia ad Auschwitz nel Giorno della memoria della Shoah, in ore nelle quali risuonano agghiaccianti parole come «deportazione» e «pulizia etnica». Ho come avvertito una scossa: mi rifiuto di pensare che la coscienza europea possa revocare la lezione racchiusa in quella tragica memoria e che, invece, essa possa prodursi in uno scatto.
Tornando alla proposta Franceschini, non so se ho inteso bene, ancora non ho una opinione sicura al riguardo, ma merita discuterne.
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