Anche senza cadere nella trappola dei corsi e ricorsi storici, di certo le uscite dell’uomo forte di AfD Björn Höcke non possono che impressionare. E ci devono fare riflettere su come contrastare l’ondata di odio che si sta infrangendo su tutta l’Ue
«Voi potete considerarci mille volte colpevoli, ma la storia ci assolve. Perché noi prenderemo il potere per vendicare la pugnalata alle spalle della nazione tedesca». Monaco di Baviera, febbraio 1924. In un’aula di tribunale colma di giornalisti e fotografi, Adolf Hitler trasforma un processo per tentato colpo di stato, in un evento mediatico.
Fino a quel momento il Nationalsozialistische deutsche Arbeiterpartei (Nsdap) era stato solo uno dei tanti movimenti di estrema destra, nati nella galassia di circoli eversivi e raduni di fanatici veterani della Baviera cattolica, pronti a eliminare i nemici della Germania: socialisti, anarchici, comunisti. In una parola tutti quei disfattisti colpevoli di aver svenduto e tradito la nazione tedesca, umiliata e distrutta dalla pace di Versailles.
Il ritorno del Reich a grande potenza militare, la missione di preservare l’onore e la purezza del sangue tedesco da ogni contaminazione (persone affette da disagi psichici o disabilità, fino allo sterminio di ebrei, zingari, neri) e ancora la riunificazione di tutti i popoli di lingua tedesca in un unico stato, per riprendersi le terre appartenute all’impero prussiano, spazio vitale a est.
Tutto questo avrebbe potuto rimanere lettera morta, nelle pagine nere del Mein Kampf, scritto da Hitler in galera, nel carcere di Landsberg e dettato al suo compagno di prigionia, il fedelissimo Rudolf Hess. E invece il futuro capo della nazione tedesca (il Führer) riesce a commuovere i giudici chiamati a condannarlo: se la sua colpa è aver difeso la patria da quel “diktat” imposto dalle potenze vicinatrici del primo conflitto mondiale, affronterà il carcere a testa alta. Non bisognerebbe mai credere troppo ai corsi e ricorsi della storia. E neppure ascoltare il canto di quei diavoletti che gli storici chiamano facili comparazioni tra passato e presente.
Il disincanto
Di certo destano una certa impressione le parole di Björn Höcke, l’uomo forte di Alternative für Deutschland che in Turingia (la stessa regione dove Hitler ottenne il suo primo ministero nel 1930) ha portato il partito al 33,1 per cento dei voti, arrivando in Sassonia al 30,5 per cento, secondo solo alla Cdu. Ed è abbastanza singolare che fino a questa scalata elettorale nessuno fuori dalla Germania lo avesse notato. Di certo non nel 2017, quando attaccava senza alcun pudore il Memoriale della Shoah di Berlino. «Siamo l’unico popolo al mondo che fa un monumento alla vergogna di sé nel cuore della capitale». L’Europa ora si spaventa di un’estrema destra neonazista ispirata da un feroce nazionalismo, capace di infiammare le folle con abilità soffiando sul fuoco dell’odio etnico e razziale.
È però dagli anni Novanta, all’indomani cioè di quel traumatico biennio 1989-91, che i neonazisti crescono soprattutto nella Germania dell’est, in quell’ex DDR dai mille paesini spopolati, costretta a ricredersi presto per l’euforia generata dalla caduta del Muro di Berlino. Il sogno dell’Occidente fatto di diritti, libertà e benessere si è schiantato contro sacche di povertà, città impoverite e abbandonate nel disagio sociale, con le industrie fatte a pezzi dal Deutsche-Mark.
L’Europa dei cittadini è ormai sepolta dall’Europa dei governanti di Maastricht, odiosa roccaforte del privilegio fatta solo di rigori nei criteri di convergenza economica e finanziaria e di rigide discipline di bilancio. Rimasti per molto tempo sotto la soglia di sbarramento del 5 per cento, partiti minori di estrema destra come Republikaner, Dvu, Npd, hanno contributo per anni a rinfocolare in Germania sentimenti di odio e disprezzo verso le istituzioni europee e cittadini stranieri da rimpatriare, persino di fronte a una cittadinanza già acquisita. E quel disincanto politico (che i tedeschi chiamano Politikverdrossenheit), nato proprio con la riunificazione delle due Germanie, è ormai fuori controllo.
Un problema di tutti
I fatti di Solingen non potevano non giovare a un partito profondamente antisemita, antimusulmano e antidemocratico, come lo Zentralrat der Juden in Deutschland ha definito AfD. Una forza antisistema che si sta ramificando nelle teste non solo nei territori dell’est. Perché una società rancorosa, disillusa e impoverita può sempre diventare facile oggetto di manipolazioni. Nel 2018 il Parlamento europeo votava una risoluzione per denunciare l’Aumento della violenza neofascista in Europa.
Non solo rispetto alle ondate di antisemitismo, con profanazioni di cimiteri ebraici e sinagoghe come quella di Halle, distrutta nell’ottobre 2019 per l’anniversario dello Yom Kippur. Ma anche per dire che i continui casi di violenza politica prendono di mira proprio le minoranze (da tutelare dunque, non da espellere). Ed è proprio l’aumento degli omicidi politici di stampo neonazista a mettere sotto attacco le democrazie occidentali.
Sbaglia però chi crede che il problema sia solo tedesco. Dalla Polonia all’Ungheria, passando per la Grecia fino ai Paesi Baltici per arrivare all’Italia, non solo gli immigrati o gli stranieri, ma anche le donne, i gay, le comunità rom e persino i disabili (giudicati come “anormali”) sono bersagli diretti di ondate d’odio, vittime di reati a sfondo razziale e xenofobo. Varrebbe la pena non sottovalutare quei veleni che circolano sul web (come ha tentato di fare la Commissione Segre). Perché di certo non possiamo impedire a qualcuno di odiare. Ma possiamo impedire, finché siamo in tempo, a quel qualcuno di fare proseliti.
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