Il dossier dei reparti speciali dei carabinieri viene rilanciato come pista per spiegare l’uccisione di Borsellino dai magistrati. Ma rischia di portarci in un passato misterioso
Gonfiato come un pallone, pompato a dismisura come tutto ciò che è destinato a esplodere, questo rapporto su “mafia e appalti“ ci sta riportando in un passato lontano e misterioso. E ci confonde, ingarbuglia i fatti, ci trascina lungo sentieri oscuri già percorsi da reparti speciali e servizi segreti alla corte del primo governo di Silvio Berlusconi. Eppure la procura di Caltanissetta sembra convinta – di più, convintissima – che sia la pista buona per spiegare l’uccisione del procuratore Paolo Borsellino, una delle due stragi del 1992, quella più sporcata dai depistaggi di Stato.
Ora, dopo l’atto di accusa contro il giudice Gioacchino Natoli amico di Falcone e dopo quello contro un generale della finanza, ecco finire nel gorgo di “Mafia e appalti” anche Giuseppe Pignatone, ex procuratore capo di Reggio Calabria e Roma (quello della Mafia Capitale evaporata fra le nuvole della Cassazione), attuale presidente del tribunale vaticano. Favoreggiamento ai boss, dopo trent’anni e passa: l’estro della giustizia non finirà mai di stupirci.
Così uno dei più noti magistrati italiani viene ingoiato in un vortice, indicato come insabbiatore per non avere adeguatamente esplorato le losche relazioni di un paio di mafiosi legati a Totò Riina con il famosissimo Raul Gardini. È la nuovissima-vecchissima pista dei Ros dei carabinieri che è stata fatta propria dal procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta Salvatore De Luca, un magistrato che ha vissuto quella difficile stagione a Palermo con un ruolo per lo più defilato nel “dibattito” sulle scelte di strategia giudiziaria. Sarà come sarà, ma l’ossessione del generale Mario Mori è diventata in Sicilia pista privilegiata per decifrare l’accelerazione della morte di Borsellino, una colossale balla per altri procuratori, l’ennesimo tentativo per deviare le indagini secondo esperti della materia.
Era tutto scritto. L’avevamo annunciato sul Domani il 17 agosto del 2022 (“Quel dossier sugli appalti che torna sempre ma non dà nessuna risposta”) e poi il 13 settembre del 2023 (“Vecchi fantasmi e stragi da ignorare”) quando la commissione parlamentare antimafia presieduta da Chiara Colosimo è diventata “laboratorio” dei pensieri del generale Mori.
Poi le accuse di alcuni familiari dei Borsellino, poi ancora la procura di Caltanissetta che si è allineata. Indagato Natoli e indagato Pignatone, chi sarà il prossimo? Saranno gli amici o i nemici dell’allora procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco (considerato il regista dell’insabbiamento del dossier), saranno i “buoni” o i “cattivi” che nel 1991 in quella procura erano uno contro l’altro armati?
Una cosa è sicura: la vendetta di Mori, imputato poi assolto in vari processi – dalla mancata perquisizione del covo di Totò Riina alla trattativa Stato-mafia, passando per la mancata cattura di Bernardo Provenzano – sta andando a segno. Cancellate le indagini dal 1992 in poi, si ricomincia daccapo e in tutt’altra direzione.
Un’altra cosa però mi sembra altrettanto sicura: questa magistratura non scoprirà mai la verità su Falcone e Borsellino. Troppo divisa, troppo stregata da questa o di quest’altra tesi.
A Firenze continuano a indagare sul giro Berlusconi e sullo stesso generale Mori che è stato indagato per strage, a Caltanissetta Mori è un faro e i magistrati che l’accusavano stanno sprofondando. Ma c’è qualcuno che potrebbe mettere d’accordo i magistrati italiani? Forse ci vorrebbe una procura nazionale antimafia.
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