- La maggioranza tory di Johnson ha lanciato una consultazione pubblica circa l’idea di privatizzare Channel Four. La bocciatura è stata netta perché gli inglesi conoscono il ruolo strategico dei broadcaster statali.
- Nel frattempo la Rai che vive di entrate miste fra canone e pubblicità se le vede tagliate entrambe
- Ma siamo alle usuali bizze (del solo Conte, per ora, a dire il vero) sulle nomine ai TG. Mentre servirebbe una proposta non modesta per una Rai indipendente e finanziata stabilmente.
I titoli dell’audiovisivo inglese si propagano nel globo e rastrellano ricavi che fanno volare il monte dei salari. Merito del rapporto integrato fra le aziende statali, BBC e Channel Four, e i “produttori indipendenti”. Gli inglesi a partire dal 2003 vogliono aziende pubbliche “committenti” e non factory dei prodotti perché la produzione “interna” di fiction e documentari lavora con budget modesti, inadatti a agli standard capaci di suscitare ricavi dai mercati.
Se l’azienda, deciso quel che vuole, coinvolge un produttore indipendente, questo si dà da fare e, associando all’estero broadcaster e piattaforme, rastrella misure di investimento produttivo ben più congrue.
Verso i mercati mondiali la Gran Bretagna procede con progetti a più stadi: il primo ce lo mette l’azienda pubblica; i successivi li allestiscono i privati interessati. La spartizione dei diritti d’uso e dei proventi riflette il peso dei distinti contributi.
L’assalto respinto a Channel4
Un meccanismo così efficace (basti vedere i livelli cui ha innalzato la posizione dell’audiovisivo UK nel mondo intero) che a volerlo distruggere ci vorrebbe un pazzo. Eppure la maggioranza tory di Boris Johnson ha avuto la bella idea di lanciare una consultazione pubblica circa l’idea di privatizzare Channel Four.
Eppure Channel Four, per quanto statale, si mantiene fin dall’origine (1980) con i soli ricavi della pubblicità e le royalty di vendita dei titoli che contribuisce a generare. Gli utili sono copiosi (10 per cento del fatturato) e il canale li reinveste in produzione tenendo in piedi un formidabile circolo virtuoso, mentre quegli stessi utili un privato se li intascherebbe come fa da quaranta anni Mediaset in Italia. Sarà per questo che i novantamila inglesi consultati hanno mandato la privatizzazione a quel paese.
Bloccati su questo fronte, i tories si sono levati lo sfizio di dare una pedata alla BBC bloccando a 159 sterline, senza l’incremento già pianificato, il canone, sua unica risorsa.
La Rai nel frattempo
Nel frattempo la Rai che vive di entrate miste fra canone e pubblicità se le vede tagliate entrambe: la prima scippata e dirottata (peraltro illegalmente) come sovvenzione ad altre aziende; la seconda tagliata imponendo la riduzione degli spazi pubblicitari a favore di quelli di Berlusconi e Cairo.
Il tutto nonostante che il nuovo vertice aziendale, poche settimane fa, avesse spiattellato ai parlamentari della Commissione di Vigilanza le cifre del disastro finanziario che negli anni scorsi si è compiuto sotto quegli occhi più complici che vigili.
All’analisi dei guai si aggiunsero alcune “modeste proposte” per restituire all’azienda parte del maltolto. Ma dalle facce degli astanti si capiva che avrebbero preferito la “modesta proposta” di Swift che nel 1729 prospettava il cannibalismo dei neonati per sfoltire gli irlandesi e placare la fame dilagante.
Dopodiché, siamo a parlare delle bizze (del solo Giuseppe Conte, per ora, a dire il vero) sulle recenti nomine ai tg che sanno più di consociazione che di lottizzazione e quindi non affettano l’azienda, oltre a essere tutte interne e a valorizzare il contributo delle donne.
Da qui, Conte ci scuserà, il suggerimento di non fare il Villon che cantava “le nevi del passato” e di proporre invece una legge radicale. Ovvero una governance British Style per una Rai indipendente e finanziata stabilmente. Il modo migliore di prendere le distanze da questa Rai che lo ha sta facendo uscire dalle grazie.
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